
Riprendo in mano il mio diario "scolastico" dopo un po’ di silenzio dovuto a motivi oggettivi e soggettivi.
La giornata scolastica è davvero dura, ma lo è ancor di più quando al normale lavoro contrattuale che prevede 22 ore di lezioni + 2 di programmazione settimanali si aggiungono ancora 3 ore di "straordinario", anche se incentivato.
Difficile capire quanto logori questo lavoro quando lo si esegue avendo la "totale responsabilità" di gestire e controllare l’attività di un soggetto con ADHD, vivendo quasi incollato a lui per evitare di farlo trovare in situazioni che, a volte, sono di pericolo non solo per lui ma anche per i compagni. Molti, specialmente negli States, ricorrono alla somministrazione di psicofarmaci. Anch’io all’inizio, quando mi sono avvicinata per la prima volta a questa problematica, sollecitavo la mamma dell’alunna a far ricorso al "Ritalin"… mi sono ricreduta quando, documentandomi, ho scoperto gli effetti nocivi di questo farmaco sulla salute "mentale" dei soggetti a cui viene somministrato [ ecco perché aderisco all’Associazione onlus "Giu le mani dai bambini"]. Diciamo però che la decisione definitiva la presi quando mi accorsi che, essendo riuscita a stabilire con la bambina una "relazione" positiva, lei rispondeva alle mie richieste ed alle mie aspettative.
Questa "rinuncia" ha fatto si che tutto il mio lavoro si giocasse sul terreno dell’empatia… dell’affettività… della tolleranza… della pazienza… della comprensione… della presa di coscienza da parte di "tutti" i soggetti attori di questa storia.
Il lavoro non è stato, e non è tutt’ora, semplice. La bambina [ che ricordo oggi ha 10 anni ] ha dentro di sé una grande "rabbia" nei confronti del mondo. Rabbia che le deriva da un senso di "inadeguatezza" e da un "complesso di inferiorità" nell’ammettere la sua "diversità".
"IO NON SONO HANDICAPPATA" è il grido di rabbia urlato col volto in fiamme quando in classe per un motivo, che in soggetti "normali" può definirsi banalissimo, lei entra in conflitto con i compagni o quando mal tollera un richiamo "pietoso" da parte dell’insegnante.
E così le ore scorrono nel tentativo di richiamare ripetutamente la sua attenzione a portare a termine un compito assegnatole, nel cercare di calmare le sue "effusioni" che risultano oltre che eccessive anche ricche di prorompente vitalità e nel domare gli scoppi di rabbia che, come un temporale estivo, esplodono durante il corso della giornata.
Il suo desiderio di affetto la porta, quando è calma e tranquilla, ad abbracciare e stringere forte sia i compagni che il personale scolastico con cui interagisce. Ricordo ancora come due anni fa in mensa rischiai di morire "strozzata" per del cibo che mi andò di traverso proprio in seguito ad un suo "abbraccio"…
to be continued…
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