A otto anni, studiando il catechismo per prepararmi alla 1a Comunione, lessi tutti e quattro i libri del Vangelo. La memoria di quanto c’è scritto lì si è rafforzata nel momento in cui iniziai a studiare in collegio, con le suore. Una cosa però non avevo mai conosciuta, o meglio mai approfondita benché il Vangelo più volte dice, e ribadisce, che: Non giudicare se non vuoi essere giudicato.
Ecco quel “se” a parer mio viene tenuto sempre in pochissima, scarsissima considerazione. A prescindere che uno sia credente o meno quel “se” implica la libertà responsabile di ogni individuo di fare molta attenzione quando pretende di ergersi a giudice di un altro suo simile.
Adesso parlando in un altro mio post con l’amica Giovanna, mi è tornata alla mente una delle prime lezioni di Religione alle Scuole Medie. La mia professoressa, Suor Maria Maddalena, evidentemente seguace di San Francesco di Sales, parlò di un tipo di Giudizio che nei Vangeli non viene espresso letteralmente, o almeno non incisivamente: il Giudizio Temerario… e cercando adesso sul web ho trovato il capitolo XXVIII in cui il Santo affronta la questione. In sintesi, Lui dice questo:
[cit…] i giudizi emessi dai figli degli uomini sono temerari perché gli uomini non sono autorizzati ad emettere giudizi gli uni sugli altri; ciò facendo usurpano l’ufficio che Nostro Signore si è riservato; in più sono temerari perché la principale malizia del peccato dipende dall’intenzione e dal disegno del cuore, che è per noi il segreto delle tenebre; sono temerari perché ciascuno è sufficientemente occupato a giudicare se stesso, senza mettersi a giudicare anche il prossimo.
Per non correre il rischio di essere giudicati, è assolutamente necessario evitare di giudicare gli altri: fermiamoci invece a giudicare noi stessi. Nostro Signore ci ha proibito la prima cosa e l’apostolo ci comanda la seconda quando dice: Se noi giudichiamo noi stessi, non verremo giudicati. Noi facciamo invece esattamente il contrario: non manchiamo mai di fare quello che ci era stato proibito, sentenziando -a dritta e a manca sul prossimo; giudicare noi stessi, che sarebbe poi quello che ci è stato comandato, chi si sogna di farlo?
Bisogna correre ai ripari partendo dalle cause dei giudizi temerari. Ci sono dei cuori acidi, amari e aspri per natura, che rendono acido e amaro tutto quello che ricevono; costoro, secondo il detto del Profeta, mutano il giudizio in assenzio, perché non sanno giudicare il prossimo senza rigore e asprezza. Simili persone hanno tanto bisogno di cadere tra le mani di un consumato medico spirituale, perché, dato che l’amarezza di cuore è loro connaturale, vincerla è difficile; benché per sé non sia peccato, anzi soltanto un’imperfezione, tuttavia è da ritenersi pericolosa, perché introduce nell’anima, e ve li fissa, il giudizio temerario e la maldicenza.
Altri fanno giudizi temerari, non per acidità, ma per orgoglio; pensano che nella misura in cui abbassano l’onore degli altri, alzano il proprio! Sono spiriti arroganti e presuntuosi, pieni di ammirazione per se stessi, che si collocano così in alto nella propria stima, da vedere tutto il resto come cose piccole e basse: Non sono come gli altri uomini, diceva quel Fariseo.
In alcuni questo orgoglio non è tanto evidente e si manifesta soltanto in un certo compiacimento nel considerare i difetti degli altri per assaporare con maggior piacere il bene contrario di cui si sentono dotati. Questo compiacimento è così segreto e impercettibile che, se non si è forniti di una buona vista, non lo si può scoprire; e persino quelli che ne sono affetti, non se ne accorgono se non si fa loro notare.
Altri poi, per lusingarsi e trovare scuse nei confronti di se stessi, o per attenuare i rimorsi delle loro coscienze, pensano molto volentieri che gli altri siano contagiati dal vizio al quale si sono dati, o da qualche altro equivalente; pensano che il fatto di trovarsi ad essere in molti colpevoli dello stesso crimine, riduca la gravità.
Molti si lasciano andare al giudizio temerario per il solo piacere di filosofeggiare e fare gli indovini sulle abitudini e i capricci della gente, quasi per esercitarsi! Che se poi, per disgrazia, qualche volta azzeccano i loro giudizi, l’audacia e la brama di andare avanti diventa tanto forte in essi, che solo a fatica si può riuscire a distoglierli. Altri ancora giudicano per passione e pensano sempre bene di ciò che amano e sempre male di ciò che odiano. Soltanto in un caso, sorprendente fin che si vuole, ma reale, l’eccesso di amore spinge ad emettere un giudizio negativo su ciò che si ama: come risultato è mostruoso, ma lo spieghi facilmente se pensi che viene da un amore equivoco, imperfetto, agitato, malato, che si chiama gelosia, che, come tutti sanno, per un semplice sguardo, per il minimo sorriso di questo mondo, condanna le persone accusandole di perfidia e di adulterio.
Lungi dall’idea di fare catechesi o dello sterile moralismo sono sicura che se gli uomini iniziassero a riflettere meglio prima di parlare forse vivremmo in una società migliore. Libera e democratica nel senso pieno del termine.
Il capitolo completo a questo link:
http://rosarioonline.altervista.org/libri/filotea/index.php?dn=3-28
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