Ci sono persone che quando li incontri sono come “tesori” per l’anima, meglio di qualunque medicina. Leggere le loro riflessioni ti aiuta a volare davvero Alto… molto Alto… Lì dove non osano i polli…
Grazie, Alessandro, panacea dell’anima e della psiche…
– “L’altro giorno sono stato invitato da un amico, con tre brillanti interlocutori, a discutere su cosa sia la verità per un matematico, per uno scienziato o per un umanista. Intendendo per “umanista” un filologo, o uno storico, o uno studioso di letteratura, o di arte, che si pongano il problema dell’autenticità di un documento, o del verificarsi di un evento lontano nel tempo, o della ricostruzione di un testo “così com’era originariamente”. Il discorso si è poi ampliato alla verità giuridica, così come viene stabilita dall’impianto probatorio e dalla giuria durante i tre gradi di giudizio, e avrebbe potuto estendersi alla verità delle interpretazioni dei sogni e dei fenomeni che riguardano la psiche umana. Naturalmente non si è arrivati a nessuna definitiva conclusione, ma ci si è messi d’accordo su alcuni punti fondamentali: 1) La verità in matematica, se si assume con Russell che “la matematica è l’insieme delle proposizioni del tipo “p implica q” in cui p e q sono proposizioni che contengono una o più variabili e né p né q contengano costanti che non siano costanti logiche”, la verità delle proposizioni matematiche quindi, sta solo nel corretto uso delle regole di inferenza, cioè nel fatto che la proposizione q segua effettivamente dalla proposizione p, ma questa verità non ha nulla a che vedere con la realtà del mondo esterno. Inoltre, dopo Goedel, nessuna costruzione matematica che si basi su assiomi iniziali può essere completa: esisteranno sempre, al suo interno, proposizioni indecidibili che danno luogo ad antinomie. La matematica può produrre modelli applicabili alla realtà, è vero, ma tali modelli in sé non sono veri o falsi, solo coerenti. La loro applicabilità a insiemi di fenomeni reali assomiglia più all’impiego di un’analogia o a una metafora e ha senso parlare di verità solo quando, nelle proposizioni, gli enti del modello vengono sostituiti da quelli reali. 2) In fisica le singole proposizioni non sono mai definitivamente vere e devono essere suffragate dall’esperienza, soprattutto devono essere falsificabili, cioè deve essere concepibile una esperienza che, se si verificasse, le contraddirrebbe. Ciò vale anche per i paradigmi, per quelle scoperte e visioni scientifiche che informano di sé un intero campo del sapere. Così la fisica aristotelica è stata sostituita da quella newtoniana, quella newtoniana da quella einsteniana, la penultima conservando la sua applicabilità a velocità molto inferiori a quella della luce. Quindi, nella scienza, un fenomeno o un paradigma non sono mai definitivamente “veri”, ma solo molto verosimili. 3) Per un filologo, uno storico, una giuria, stabilire l’autenticità di un documento o di un’opera d’arte, il verificarsi di un evento o di un delitto, la ricostruzione di un testo corrotto, richiede una prassi codificata che ha lo scopo di fissare le tecniche con cui i vari documenti “intermedi” che portano al documento o all’evento in giudizio devono essere esaminati, ma anche un accordo della comunità degli esperti e delle regole che stabiliscano quali siano le condizioni minime per ritenere che quei documenti siano probanti e validi (possono esserci codici antichi interpolati e falsificati dagli amanuensi, intercettazioni telefoniche manipolate, video ricostruiti ad arte, false testimonianze, quadri dipinti da abili falsari, etc.). Per un critico d’arte, ad esempio, oltre alla documentazioni e testimonianze sull’esistenza di una certa opera nel tempo, anche i materiali e le tecniche utilizzate in un’opera sono essi stessi documenti probatori. Anche in questo caso, quindi, la verità non è mai una certezza, ma si tratta sempre di verosimiglianza. La ricostruzione di un fatto, o di un documento risalente a secoli prima è resa tanto più difficile quanto più cambiano nel tempo, in modo retroattivo, i criteri con cui leggiamo la realtà. Alcuni aspetti del mondo, ritenuti fondamentali in epoche precedenti la nostra, vengono liquidati come “rumore di fondo” e ignorati da qualsiasi ricercatore del vero, e viceversa. In queste condizioni la nostra ricostruzione sarà viziata dagli “occhiali” che indossiamo, molto diversi da quelli indossati da chi visse nell’epoca in cui si verificarono i fatti. Ma questo è inevitabile. Utilizzando indici di lettura nuovi e diversi per interpretare un fatto, lo inseriamo in un contesto che riproduce quel fatto indebolendone l'”aura”, come direbbe Benjamin. Uno stato di cose reinterpretato centinaia di anni dopo, con nuovi indici di lettura, sta al fatto originario come una riproduzione della Gioconda sta al quadro originario. 4) Per ciò che riguarda l’interpretazione dei sogni e dei fenomeni psichici (ma di questo nel nostro incontro non si è parlato) vale, più che in qualsiasi altro campo del sapere, un criterio relativistico. Non esiste mai una sola interpretazione “vera” di un sogno. Esistono varie interpretazioni possibili, tra le quali si sceglie di solito quella che “parla” di più al sognatore, gli fornisce indicazioni utili per la sua evoluzione, entra in risonanza con la sua anima. Tuttavia, in altre epoche della sua vita, l’interpretazione di quello stesso sogno potrebbe essere diversa. E’ precisamente quello che accadeva a simboli e miti nelle iniziazioni ai Misteri del mondo antico. Lo stesso mito, lo stesso simbolo, potevano assumere significati molto diversi nei Grandi e nei Piccoli Misteri. Anche i fenomeni psichici e le motivazioni profonde che ci muovono, sono soggetti a questa strana duttilità. La coscienza, l’individuazione del Sé, procede secondo un cammino spiralico piuttosto che rettilineo, riportandoci più e più volte su una stessa tematica che, in differenti momenti della vita, ci appare sotto una luce sempre diversa. Si potrebbe, forse, sostenere che la verità dei sogni e dei fenomeni psichici ed animici è legata al loro hic et nunc, al momento e al luogo in cui vengono esaminati, viene costellata di significato dalla psiche del ricercatore di verità secondo una legge legata al caleidoscopio della sua ricerca. 5) Infine un dubbio atroce: Tutte le nozioni di “verità” fin qui esaminate privilegiano, senza ombra di dubbio, una sola delle quattro funzioni junghiane: la funzione Intelletto. Nessun filosofo si è mai avventurato nell’impresa difficilissima di forgiare una nozione di “verità”, da tutti utilizzabile, fondata sulla funzione Sentimento, o sulla Intuizione, o sulla Sensazione. Eppure tutte le persone reali che hanno una di queste tre funzioni come preponderante, la utilizzeranno più o meno esplicitamente per arrivare alle loro “verità”. Ad esempio, la funzione Sentimento è una funzione che emette giudizi di valore sul mondo che sono “veri” per definizione, e non si limitano a “colorare” il mondo, determinando una fortissima adesione a un fatto o a una tesi e orientando le nostre scelte percettive. Il filosofo della scienza Feyerabend in “Contro il metodo” ha cercato di dimostrare che Galileo ha “forzato” le sue osservazioni per dimostrare la verità del sistema copernicano, di cui egli in realtà era già convinto a prescindere, per ragioni intuitive o sentimentali. Forgiare un criterio di verità adatto a ognuna delle tre funzioni junghiane “trascurate” dal mondo moderno, questa sarebbe una sfida molto interessante!”-
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