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I miei grandi italiani: Giacomo Dal Monte Casoni


Giacomo-Dal_Monte_Casoni.tifGrandi italiani sono anche tutti coloro che non scappano ma si prodigano per portare alla vita un paese prostrato da una guerra.
Grande italiano in questo senso è stato Giacomo Dal Monte Casoni, che nella sua Imola devastata contribuisce, di tasca propria, allo sviluppo economico del suo paese.
Questa sua “azione politica” è quella che mi ha affascinato di più quando lessi la sua biografia nel libro: “Giacomo Dal Monte Casoni e la città di Imola” a cura di Marco Orazi e Fabrizio Tampieri, Editrice BacchilegaLibro”, e che adesso ho ritrovato su Wikipedia:
“Nel periodo 1947-1953 è animatore e sostenitore, anche finanziario, di una vasta rete di cooperative di lavoro in tutto il comprensorio, fornendo moderne attrezzature e assistenza tecnica. Sotto la sua guida, la Cassa diventa il principale organo propulsore delle attività economiche della zona imolese nel difficile periodo della ricostruzione postbellica, e tale rimarrà fino alla sua morte.”
Perché ne parlo adesso e perché ne parlo qui?
Semplice, ne parlo adesso perché nella pagina di un’ amica ieri sono stata insultata in modo piuttosto pesante, tra l’altro mi è stato dato dell’ignorante e della saccente perché nell’ attaccare gli imprenditori che esportano i macchinari all’ estero, dicevo che c’era la più grande responsabilità sulla decadenza del Mio Paese.
Ecco, ricordando l’ Onorevole Giacomo dal Monte Casoni – che quando dismise gli abiti del politico uscì più “povero” di quando vi era entrato – mi conforta il pensiero che “Uomini Veri” che vogliono “il benessere del Paese” ci sono, rimangono qui e non scappano per salvaguardarsi il loro portafoglio.
Quanto tempo dovrà passare prima che un nuovo Giacomo dal Monte Casoni appaia all’orizzonte?
Ho sete di “grandi ed illuminati uomini”… Ho paura che dovrò morire assetata…

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Uscire dal tempio


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In una società che cambia, divenuta culturalmente pluralistica, secolarizzata e per più di un aspetto post-cristiana, in una Italia da rievangelizzare, che senso ha restare all’interno o alla porta del tempio, sulla difensiva, attendendo e invitando quelli che stanno fuori a entrare? Occorre uscire dal tempio, in campo aperto. Urge andare per le strade delle nostre città, condividendo problemi, ansie, fatiche e speranze degli uomini dei nostri quartieri, per fare di Cristo il cuore del mondo … Dopo l’età del Tempio, la nostra sarà la nuova età della Tenda. Uscire dal Tempio (inteso come luogo dove converge la maggioranza) e piantare la Tenda di Dio nel mondo (simbolo di una minoranza nomade, in cammino nella storia degli uomini). (B. Sorge, Uscire dal tempio, Marietti)

Queste parole, di Padre Sorge, ebbi modo di leggerle all’uscita del suo libro che mi fu prestato da un altro sacerdote con cui discutevo sul ruolo dei preti di parrocchia oggi… Mi sono rimaste impresse non solo perché incontravo finalmente un prete “liberale e laico” ma perché mi facevano vedere come tutta la realtà italiana sia costruita su tanti “Templi”. Ognuno di noi vive in compartimenti stagni, chiusi nel nostro status quo e convinti che chi è fuori dal nostro sistema è diverso e quindi nemico. L’uomo del terzo millennio ha continuato, ed ha contribuito, a costruire tra il suo tempio e quello degli altri dei muri sempre più invalicabili. Impossibile in questo contesto stabilire il principio dei vasi comunicanti.Ognuno di noi vive nel proprio isolotto proclamandosi incompreso, dichiarando incompetenti, ignoranti o saccenti chi non condivide le loro idee e non ci si rende conto che questa miopia, che ci riguarda tutti, ci condurrà solo alla distruzione dell’umanità.Viviamo in una società disumanizzata dove ciò che conta è solo il piccolo orticello davanti a casa nostra e rinneghiamo, misconosciamo che siamo legati tra noi da un filo invisibile che si chiama: Anima.L’uomo del ventesimo secolo dichiarando la Morte di Dio ha davvero ucciso Dio e l’ha ucciso nel momento in cui ha fatto karakiri con la sua “Coscienza”.Assoggettato ai vincoli del mercato, legato alla borsa più che al cuore ha perso la percezione dell’Unicum. Dimentica o non riconosce più l’ En to Pan.

L’ individualismo ha talmente corroso la sua psiche, bruciato i suoi neuroni, che gli ha fatto perdere il contatto con la parte più sottile del suo essere….

Allora forse è giunto il momento di ri-prendere il bastone del pellegrino. 

Cosa significa prendere il bastone del pellegrino? Frequentare i crocevia della storia. Aprirci a visioni planetarie. Cambiare mentalità e rotta. Sperimentare un nuovo modo di essere religiosi. Uscire dal guscio della ritualità. Confrontarci con gli altri. Andare verso l’incrocio delle culture. Ma non basta. Occorre anche la bisaccia: non quella del viandante, ma quella del cercatore, del mendicante. Noi cristiani siamo troppo abituati a riempire la bisaccia per andare a scaricarla agli altri. Invece ce la dobbiamo portare vuota, per riempirla dei valori che possono darci gli altri. (mons. Tonino Bello)

Ecco, io mi sforzo di farlo, di uscire e di far comprendere le mie ragioni, mi butto nella tana del lupo e lo affronto, vengo bastonata, ricevo schiaffi in faccia, ma non demordo. Sento che devo farlo seguendo i consiglio di Don Bello:

Non bisogna essere semplici notai dello status quo, ma profeti dell’aurora.

(mons. Tonino Bello)