Pubblicato in: Dalla parte dei bambini, Di tutto un po', La Scuola vista da me

Una sola metodologia?


la mia scuola

Persegui la verità, ma diffida di coloro che sostengono di averla trovata.
Quinto Settimio Tertulliano, Cartagine, II-III sec.

Prendo spunto da un articolo di Bruno d’Amore, pubblicato su Giunti Scuola, per esprimere la mia opinione in merito a coloro che, un anno si e l’altro pure, calano tout court sui docenti il metodo, secondo loro migliore, per ottenere delle performance che alzino il livello degli apprendimenti degli alunni e che rendano la scuola migliore.

E’ encomiabile come ciascuno di noi si tuffi a occhi chiusi in ogni nuova metodologia che viene loro proposta. Significa che ci tengono al loro lavoro, che gli sta a cuore il risultato performante della propria classe. Ma è proprio in questa parolina che si nasconde la trappola: classe.
La classe è formata da un tot numero di alunni che, per quanto omogenei per età, ambiente socio-familiare, habitat scolastico è difforme ed eterogenea.

Non c’è nessuna garanzia che una “sola” metodologia possa assicurare a tutti il possesso delle stesse competenze.

A tal proposito, senza scomodare giocoforza Gardner e le sue teorie sulle intelligenze multiple, i teorici in primis, i docenti dopo, prendano coscienza che nessun bambino è ugual ad un altro. Quando mi preparavo per prendere il diploma di specializzazione sul sostegno uno dei professori portò a tal riguardo l’esempio degli studenti neri in America.
L’abbandono scolastico di questi alunni è un problema davvero serio negli States, in quanto contribuisce al degrado ed al rafforzamento nelle file della malavita statunitense. Un professore a forza di interrogarsi sul motivo di questo abbandono fece una scoperta. Gli alunni di colore si annoiavano durante le ore di lezione “frontale”, la scuola non rispondeva alle loro vere esigenze, o meglio al loro modo di apprendere. La loro intelligenza non veniva stimolata nel modo giusto: quello ritmico-musicale. Cambiare la didattica per loro, impostandola su lezioni che includevano una metodologia “musicale” portò a innalzare il livello non solo del loro apprendimento ma favorendo anche la voglia di apprendere, contribuendo a contrastare la dispersione scolastica.

Per questo motivo dico che è sbagliato e deleterio ai fini dell’apprendimento degli alunni entrare in classe e tenere una lezione partendo da quella metodologia e escludendo le altre.

La vera metodologia la fa  la brava docente, quella che entra nella classe e prova ad adeguare le sue lezioni agli alunni. La metodologia si crea giorno per giorno tenendo conto delle peculiarità degli alunni. Tutti possono ottenere gli stessi risultati, tutti possono raggiungere le stesse competenze, dipende dal docente che sa “ascoltare” i suoi alunni. Io ripeto in continuazione ai miei alunni che c’è una grande differenza tra ascoltare e sentire. Ambedue sono azioni che compiamo con le orecchie ma l’ ascolto implica l’attenzione e la comprensione; implica la presenza del pensiero qui ed ora. Il sentire è una cosa che possono fare tutti, è un’azione che avviene indipendentemente dalla nostra volontà.

Proprio perché credo in una metodologia didattica diversificata – tutti i metodi sono buoni – ben vengano le innovazioni, ma non si deve pretendere, né imporre, di abbandonarne uno per accogliere, ad occhi chiusi, un altro metodo. L’intelligenza, la competenza, la professionalità, del docente si rivela proprio qui: nel saper amalgamare i diversi metodi per calarli nella realtà della propria classe.
Per questo io dico no ai test Invalsi, dico no ad una valutazione, sia questa docimologica e/o alfabetica. Dico no ad una omologazione dell’ insegnamento. Dico no ad una categorica imposizione che vuole eliminare e distruggere la libertà di insegnamento.

Quando parlo di “libertà di insegnamento” non intendo dire che un docente deve entrare in classe e fare lezione senza avere una adeguata programmazione didattica a cui fare riferimento. La libertà di insegnamento concerne la metodologia non le finalità dell’apprendimento che riguardano , prima di tutto, l’acquisizione di saperi universali e definiti in base all’età  ed alla scuola degli alunni.

Come diceva la  Preside Maria Luisa Palazzino, che ho incontrato durante i miei anni di precariato: Tutti gli alunni dovranno arrivare a Roma, come ci arrivino (in treno, in macchina, a piedi o con l’aereo) è un problema del docente non del Dirigente o dello Stato…

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