Pubblicato in: Notizie e politica, Riflessioni personali, Società e Costume

Fatalista per natura


mortilavoroIo mi chiedo come si possano fare chiacchiere da bar sport anche davanti alla morte. Trovo assurdo, un vero paradosso, dare la colpa al governo “anche” per la morte di quella ragazza in Germania. Fino a che leggo argomentazioni del tipo: -“Costretta ad emigrare perché non trova lavoro in Patria” – posso accettarlo, anche se su quel “costretta” ci andrei con le molle. Io penso che chi vada all’estero debba essere elogiato per l’intraprendenza che dimostra e non certo “commiserato” (pure se continuo ad essere dell’idea che ci vuole più coraggio a restare che a… scappare), detto questo, arrivare a dire: “Vittima dell’attentato perché è stata costretta ad emigrare per cercare lavoro”, allora, perdonatemi, ma mi sento un alieno. Mi chiedo in quale assurdo paese sono capitata. Come si fa a mettere insieme: emigrazione e attentato? Se la mettiamo su questo piano non comprendo come voi benpensanti non spendiate le stesse parole per tutti quelli che davvero rischiano la pelle su barche di fortuna, ogni giorno. Perché per loro non avete parole di pietà mentre vi trincerate dietro false esaltazioni anti-governative? Come si fa a strumentalizzare la morte? Ma davvero sono circondata da tanta superficialità?
Io mi smarrisco, dico davvero, mi smarrisco davanti a tanto populismo o non so come definirlo.
Se lei è morta perché lo Stato l’ha costretta ad emigrare, quelli che sono morti insieme a lei, in primis i tedeschi, con chi se la devono prendere? Loro sono stati uccisi a casa loro!
Allora, prima di sparare con proiettili a salve meditate su queste parole… Un po’ di saggezza non è indigesta:

‘A morte è una, ‘e mezze sò tante
ca tene sempe pronta sta signora.
Però, ‘a cchiù trista è “la morte ambulante”
che puòò truvà p’ ‘a strada a qualunch’ora
(comme se dice? … ) pe fatalità .

Ormai per me il trapasso è na pazziella;
è nu passaggio dal sonoro al muto.
E quanno s’è stutata ‘a lampetella
significa ca ll’opera è fernuta
e ‘o primm’attore s’è ghiuto a cuccà . [Totò – ‘0 schiattamuorto]

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Quando le parole non hanno senso


8e313fa0-a167-4da9-9ab9-500f1926c2f5-originalNon è sufficiente dire: “Sono vicina a Voi”…
Non hanno senso le parole quando si soffre, perché il dolore è personale e non si alleggerisce sapendo che qualcuno “è vicino a noi”.
Il dolore è lì, pesa come un macigno sul nostro cuore, annienta i pensieri, ti lascia sveglio la notte a rigirarti nel letto. La sofferenza fatica a trovare la luce. Chi c’è passato sa che alla fine si esce dal tunnel, alla fine la nigredo porterà alla trasformazione ed alla subliminazione del dolore, ma chi sta dentro il crogiolo a cuocere sulla fiamma viva del dolore non lo sa… e non ha senso dirle: Ti sono vicina. Non bastano le parole.
No, per questa umanità sofferente le parole non contano.
Non hanno senso.
La risposta, in questo caso, deve essere pragmatica, logica, razionale ed è una risposta che può dare solo chi occupa la stanza dei bottoni.
C’è un peccato che la Chiesa Cattolica condanna, è un peccato “capitale”: l’ Accidia.
L’accidia è il rifuggire dalle proprie responsabilità, è quel non fare nulla per modificare uno stato di cose che si ritiene siano impossibili da modificare.
L’accidia è il più grosso peccato che commette non solo la classe politica ma anche la classe dirigenziale che pur di non avere problemi preferisce non fare nulla.
Poi ci sono quelli che, trovandosi di fronte a persone con problemi legati all’esistenza, si sentono di dare come consiglio quello di “scappare”. La fuga viene vista come l’unica alternativa, essa non è altro che l’illusione di trovare altrove la “liberazione”, dalla personale crisi esistenziale. Mentre l’unica cosa saggia da fare sarebbe quella di prendere coscienza dei propri limiti e di trovare dentro noi stessi le enormi possibilità e capacità che abbiamo.
I rimedi per l’accidia ci sono e sono: la pazienza e la stabilità.
La stabilità è la capacità di perseverare, di continuare un cammino anche se si è tentati di interrompere la via che si è intrapresa. E un tempo in cui ci è data la possibilità di perseverare è il quotidiano: rimanere nel quotidiano, senza “sognare la vita” fuggendo dalla sua precarietà. Ciò comporta una rinuncia a tutte quelle illusioni che ci appaiono come alternative al presente; comporta accettare se stessi e l’altro; comporta accogliere le fatiche dei propri impegni o il peso della comunità in cui siamo inseriti.
Impegni e pesi che la nostra classe dirigenziale, governativa e non, dovrebbe iniziare a prendere.
Da quanto tempo lo si va dicendo?
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Navigatori, santi e… sognatori


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Qualche anno fa ho avuto parecchie discussioni con cinquanta-quaranta-trentenni che dicevano che negli anni 70 si stava bene. Che i giovani erano pieni di promesse e belle speranze e che il ’68 aveva portato alla formazione di persone incompetenti per colpa del diciotto politico. Purtroppo ho dalla mia una buona memoria storica. Dopo un anno ho trovato la prova di ciò che affermavo e continuo ad affermare.

C’è stato qualcuno che ha costruito un mantra con l’affermazione: “Hanno distrutto il futuro e i sogni dei giovani”…
Ecco, per chi se lo fosse perso, per chi non era ancora nato… le stesse identiche cose si dicevano anche negli anni settanta.
Io ero ancora una ragazzina ma ricordo bene la rabbia dei giovani, il disagio sociale che passava senza filtri tra le stanze del collegio, dove studiavo. Certo avevamo “Alto gradimento”, con Arbore e Boncompagni, le hitparade settimanali che allietavano le nostre giornate, ma sentivamo la cappa del malcontento del popolo. Un malcontento che chi stava ai piani alti non percepiva e di cui non si curava. Cosa è cambiato in oltre quarant’anni?

Questa copertina, N° 50 dell’anno XVI dell’Espresso, porta la data del 13 dicembre 1970, a riprova che nessun governo ha mai fatto qualcosa per i giovani e per il paese, a parte che far scappare i brand italiani all’estero. Incapaci! Siamo solo un paese di navigatori, sognatori e… santi, tutti…
O in ordine inverso: santi (quando non demoni), sognatori e… navigatori in cerca di fortuna. Il flusso migratorio cambia volto, dal terzo mondo vengono da noi e noi andiamo verso quelli che pensiamo essere paesi più sviluppati. E lo sono ma… a quale prezzo? Stanno distruggendo il pianeta per la sete di denaro.

Viva il capitalismo borghese…

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A.A.A. Cercasi #Lealtà


filosofiaubuntu
Ubuntu è un’etica dell’Africa sub-sahariana che si focalizza sulla lealtà e sulle relazioni reciproche delle persone.

Sapete cosa continua a ferirmi ed a farmi male, nonostante la mia età? La mancanza di lealtà…:

-“Lealtà è parola che deriva dal latino legalitas e che indica una componente del carattere, per cui una persona sceglie di obbedire a particolari valori di correttezza e sincerità anche in situazioni difficili, mantenendo le promesse iniziali e comportandosi seguendo un codice prestabilito – sia esso tacito o esplicito. In altri termini, si può intendere per lealtà il grado di coerenza tra un comportamento nella pratica e gli ideali a cui si attiene teoricamente una persona.
È una qualità morale umana (nel caso di animali si usa la parola “fedeltà”) che presuppone il superamento di un conflitto interiore per via di una scelta.”
John Ladd, professore di filosofia presso la Brown University, scrive nell’Enciclopedia della Filosofia nel 1967, che la nozione di lealtà è “un ingrediente essenziale in ogni sistema della morale civile e umana”…
… La lealtà si mostra nei momenti di difficoltà, è la vittoria del rispetto delle regole sulla volontà personale di ottenere il miglior risultato per sé stessi… […] Socrate nel mondo classico è spesso stato considerato un modello di lealtà. Il filosofo greco Platone lo descrive infatti come tale nel suo trattato Critone: nel dialogo viene descritto come, l’ateniese Critone, cerchi di convincere in carcere l’amico Socrate, condannato a morte, di approfittare dei giorni che restano per scappare. Lui stesso lo aiuterebbe, in quanto amico, a sottrarsi ad una ingiusta condanna. Ma pacatamente Socrate risponde allo sconsolato Critone che tra i due valori in gioco, la propria vita e il rispetto della legge, lui preferisce seguire la legge che è stata per lui un buon genitore sin da bambino in quanto profondamente giusta e di cui poi un domani nell’aldilà gli verrà chiesto conto…. […]Si può parlare di lealtà anche nel mondo di lavoro, per esempio tra colleghi d’ufficio. La lealtà come la ferma volontà di non procurare alcun male all’altro, sia maniera diretta (es. togliere il saluto ad un collega, trattarlo male… ecc.) che in maniera indiretta (es. parlare male di lui).”[Fonte Wikipedia]
Per non parlare della Lealtà “nell’amicizia” …
Ecco, ditemi oggi chi è davvero leale, stando a questa definizione.
Ovunque guardi vedo solo la lotta per il proprio tornaconto. Ottenuto il quale, ognuno manda a quel paese l’altro…
Siamo un popolo senza morale… questo mi fa male.
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Dis-umanizzazione sociale


drones-muse
Copertina dei Muse per l’album “Drone”

Sono stata un po’ latitante in questi ultimi tempi… la notizia che NON mi sento di commentare è quella che da due giorni arriva da Saronno… Non la commento perché si commenta da sola. E’ la testimonianza più diretta di questa società dis-umanizzata di cui vado parlando da un po’ di tempo….

Oggi ci comportiamo in un modo davvero molto strano… dovrei rifletterci un po’ su per farlo diventare un’ indagine sociologica.
Davanti ad ogni notizia che si pubblica, davanti a ogni situazione che si denuncia, non si riceve mai una partecipazione “empatica” ma solo una controdenuncia… Come a dire: Si, ma vuoi mettere questa di fronte a quella?
Trovo questo atteggiamento così distante dalla realtà che provo un senso di vuoto e di freddo. Lo percepisco come un voler nascondere la testa sotto la sabbia in cerca di altro cibo invece di afferrare quello che si ha di fronte.
Questo continuo additare alla luna guardandosi il dito è di una miopia esasperante che si pone come un muro di gomma davanti al problema…
L’ incapacità di analizzare i singoli fatti, di deviare l’attenzione dal problema… la superficialità nell’osservazione empatica mi disarmano.
Sono sincera.
Tutto viene sfiorato, è tutto un parler pour parler, come se non si avessero argomenti convincenti per affermare il proprio pensiero e si cade nella vuota retorica, si sprecano fiumi di parole, mare d’inchiostro, mentre il problema è sempre lì, davanti ai nostri occhi in attesa di una soluzione.