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Animatore digitale: figura professionale


Word ArtPenso che se davvero si volesse rinnovare la scuola italiana bisognerebbe “staccare” gli animatori digitali dalla classe e impiegarli solo ed esclusivamente come supporto e consulenza dei docenti per la realizzazione di una vera didattica attiva. Molti docenti non intendono modificare la didattica in classe, non vogliono fare aggiornamento e formazione (oltre il 50% si dichiara vecchio, stanco e prossimo alla pensione). Essere affiancato in classe da un animatore digitale in funzione di peer-tutoring e peer-education sarebbe la soluzione migliore per migliorare la didattica di classe e nel contempo fare “formazione e aggiornamento”. Gli dovrebbe essere riconosciuta la sua “professionalità”, le sue competenze “vere” e non presunte, facendo ben attenzione che non finisca come “tappa buchi” come accade ai docenti di sostegno o a quelli assegnati sul “potenziamento”. Solo così la nostra scuola potrà “innovarsi”! Tutto il resto sono chiacchiere, compresi questi soldi a “pioggia” che ancora non si vedono.
I fatti contano, le buone pratiche fanno la differenza.
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La scuola che voglio io


caterina2 1Circa dieci anni fa, come docente specializzata sul sostegno, mi occupavo di una bambina affetta da Sindrome di Williams (conosciuta anche come la sindrome dei “bambini con gli occhi a stella”), una rarissima malattia genetica, colpisce un bambino su 20.000, che oltre ai vari problemi fisici è caratterizzata da “un profilo cognitivo con deficit visuo-spaziale, che contrasta con le buone capacità di linguaggio. I bambini affetti presentano un comportamento ipersociale e interagiscono bene con le altre persone. Sono molto sensibili al rumore e hanno buone capacità musicali”. Frequentava la prima elementare ed era davvero dolcissima, se tutti noi “normali” possedessimo la metà della sua dolcezza vi assicuro che il mondo sarebbe molto ma molto migliore.

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Non mi dilungo più sulla fatica e sull’impegno che mi ha comportato quell’anno. Per me era una sfida riuscire a dare alla bambina il minimo degli strumenti che le consentissero di integrarsi nella vita scolastica. Il mio primo obiettivo, quando lavoravo con questi bambini, è sempre stato quello dell’integrazione a 360° e devo dire, perdonatemi l’immodestia, che ci sono sempre riuscita. Lavorare con un bambino affetto da Sindrome di Williams era una doppia sfida. Non si trattava solo di portarla a padroneggiare lo “spazio fisico” del quaderno ma anche di insegnarle ad associare fonema e grafema. Con lei ci sono riuscita e ricordo ancora adesso la faccia meravigliata della neuropsichiatra infantile, quando a marzo andai insieme alla madre per un controllo di routine, che nel sentirla leggere esclamò: – “Impossibile! Abbiamo sbagliato la diagnosi clinica!”

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Ieri, nel rovistare tra le mie carte, ho ritrovato il bigliettino che la madre le fece fare alla fine dell’anno scolastico (la sua fotografia, dentro la cornice, regalo che la mamma mi fece, è nella libreria del mio studio e non passa giorno che non la guardi e che il mio pensiero non vada a lei). Bene, in questo biglietto c’è sintetizzato non solo il risultato del mio lavoro ma anche l’escamotage che adottai per farle acquisire la padronanza dello spazio quando doveva scrivere, insieme all’abilità raggiunta nel colorare dentro le linee. Come dice la mamma: E’ stata una grande sfida ma l’abbiamo vinta. L’ unico rammarico è quello di non averla potuta accompagnare fino alla porta della scuola media.

Un bacio Caterina…
(Evelina Chiocca, per questo ti chiedo di continuare a batterti, per questi bambini che con una buona guida possono realmente venire fuori dai confini in cui sono relegati…)

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Parto, emigro e me ne vado a Malta!


Satelite_image_of_MaltaMe ne vado a Malta! Sentite cosa dice un collega che è stato lì cinque giorni:
-“Mi trovo a Malta per una settimana di job shadowing per gli animatori digitali.
Lim + 3 pc in ogni classe (le lim il prossimo anno saranno sostituite da internet touch panel da 80″). All-in-one da 24 pollici nuovissimi in ogni laboratorio.
Un portatile ad ogni insegnante.
Un tablet ad ogni alunno di quarta elementare (a scorrimento finché tutti gli alunni non ne avranno uno).
Alle elementari si usano ovunque beebot, pro-bot, robot lego….
In foto vedete un normale laboratorio di “applicazioni tecniche” delle medie: stampante 3d, scanner 3d, vacuum modeler, cutter laser, una macchina per cucire elettronica che non so cosa fa, più ovviamente una ventina di computer, lim collegata a pc con touch panel…..
Siamo qui da una settimana e ci viene da piangere.
Ho incontrato alcune famiglie di italiani (lavorano qui) con bambini piccoli che dicono che in Italia non torneranno più.
– Classi al max da 13 alunni (20 alle superiori), ma ci sono sempre 2-3 ins di sostegno. Animatori digitali non hanno classi e non si occupano di problemi tecnici, fanno solo consulenza didattica.
– L’acquisto di pc e qualsiasi attrezzatura è centralizzato, lo fa il ministero, così non ci sono scuole ricche e scuole povere.
– Lan e wireless gestiti dal ministero. Se hai un problema, vengono loro.
– TUTTI gli insegnanti utilizzano attrezzature digitali per le lezioni. In 5 giorni non ho visto un gesso.
– Quando un insegnante​ è stanco di insegnare chiede di passare a lavorare in ufficio.
– Ore di 40 minuti, 20 minuti di pausa ogni ora. Quasi non esiste il lavoro a casa. Tanti hanno un doppio lavoro (legale) il pomeriggio.
– 30 ore la settimana (di 40 minuti) dal lun al ven 8.30-14.30
– Non si boccia, ci sono esami finali che stabiliscono il tuo destino. Se non li superi non puoi accedere ad alcuna scuola o all’uni. Il modello è tipicamente inglese. Alunni silenziosi e partecipi. In cinque giorni ho visto solo una persona chiedere di andare al bagno. Mai sentito un insegnante ripetere 3 volte un concetto. Se hai capito bene, sennò ti organizzi…
Sto parlando di scuole statali. Ne ho viste 5 diverse, di ogni grado. Stipendio uguale x tutti i gradi, all’inizio 1200 con scatti ogni 5 anni, che rapportato a noi è piu o meno lo stesso nostro.
La scuola infanzia l’ho vista, è bellissima, colorata, con tablet beebot, e altre diavolerie e lim in ogni classe. Un sacco di ebook con tablet.
Ho dimenticato la cosa più importante: vanno in pensione a 61 anni. C’è stata una riforma anche lì e i nuovi assunti ci andranno a 65. -“
E qua parli con chi non insegna e si meravigliano che ti lamenti. Italiani, vivete ancora nel medioevo: Svegliatevi!
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Lombroso tra scienza e follia


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Esempi di fisiognomica di criminali, secondo Lombroso: Rivoluzionari e criminali politici, matti e folli

Riflettevo sugli studi, a livello della “pazzia” del Lombroso. Quel suo perseguire un idea e fare di tutto per avvallarla, fino ad arrivare al punto di procurarsi teschi e cervelli in modo illecito. Come spesso mi accade, cercavo di approfondire un po’ le caratteristiche del personaggio, in un certo senso procedendo in linea con il suo pensiero. Non mi raccapezzo come le sue teorie sull’atavismo e “l’ereditarietà” della delinquenza possano aver avuto tanto successo fino a creare in molti italiani la convinzione che il meridionale è “brutto, sporco, cattivo e… intellettualmente inferiore. Ricordiamo e teniamo bene a mente che:

-“La teoria dell’uomo delinquente fu formulata anche a scopo ideologico. Lombroso voleva inserirsi nel dibattito politico di quegli anni per aiutare, con il supporto della scienza, l’Italia postunitaria sul fronte del controllo sociale, e risolvere una volta per tutte il fenomeno della questione meridionale e del brigantaggio postunitario. Questa impostazione gli attirò severe critiche da parte di noti intellettuali dell’epoca. Nonostante le sue radici socialiste, fu aspramente criticato da Napoleone Colajanni, che raccolse in un libro i suoi biasimi , e da Antonio Gramsci, che nel 1926 scrisse: “È noto quale ideologia sia stata diffusa in forma capillare dai propagandisti della borghesia nelle classi settentrionali: il Mezzogiorno è la palla di piombo che impedisce i più rapidi progressi allo sviluppo civile dell’Italia; i meridionali sono biologicamente degli esseri inferiori dei semibarbari o dei barbari completi, per destino naturale”… Anche Lev Nikolaevic Tolstoj (che in base alla bruttezza lui aveva classificato «di aspetto cretinoso o degenerato») arrivò a definirlo come un «vecchietto ingenuo e limitato»”-
Adesso, pur riconoscendogli il “merito” di aver dato origine allo studio della “criminologia scientifica” e non dimenticando che è stato radiato dalla Società italiana di Antropologia ed Etnologia, lascio da parte queste considerazioni e mi concentro su questa sua affermazione (badate che cose interessanti ne ha dette, glielo riconosco, ma mantengo col soggetto le debite distanze, sia mai volesse analizzare il mio cervello!):
“[…] la truffa è una trasformazione evolutiva, civile, se si vuole, del delitto, che ha perduto tutta la crudeltà, la durezza dell’uomo primitivo di cui il reo-nato è l’immagine, sostituendovi quell’avidità, quell’abito della menzogna, che vanno sventuratamente diventando un costume, una tendenza generale, salvo che in costoro è più concentrata e con intenti più dannosi (…) Invero se passiamo dalle vallate remote alle città e dalle città piccole alle capitali, vediamo, dal più piccolo al più grande, farsi sempre più gigante la menzogna commerciale, la truffa, insomma, in piccola scala; e nelle società più elevate, sotto forma di Banche per azioni, la truffa vera, gigantesca, è in permanenza alle spalle dei gonzi, garantita coi nomi più altisonanti e più venerati se non venerabili”. (Saggio del 1893 intitolato “Sui recenti processi bancari di Roma e Parigi”, scritto con Guglielmo Ferrero).
Lombroso si rendeva conto che per spiegare tali fenomeni non si poteva ricorrere ai caratteri criminali atavici o degenerativi, ma occorreva considerare la figura del delinquente occasionale, su cui influivano soprattutto fattori ambientali, sociali e culturali, in questo anticipando gli studi sulla criminalità economica, che avrebbero trovato una matura espressione circa mezzo secolo più tardi.
E qui sono d’accordo con lui. Gli studi sociali arrivano alle stesse conclusioni formulate dal nostro.
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“Il-letterato italiano”


megafonoForse abbiamo un problema linguistico in Italia:
“immigrato”: agg. e s. m. (f. -a) [part. pass. di immigrare]. – Che, o chi, si è trasferito in un altro paese: operai i., famiglie i. nel Nord; in senso specifico, riferendosi ai soli spostamenti determinati da dislivelli nelle condizioni economiche dei varî paesi, chi si è stabilito temporaneamente o definitivamente per ragioni di lavoro in un territorio diverso da quello d’origine: i. regolari; i. irregolari (o clandestini), privi di permesso di soggiorno; i. stagionali, quelli che emigrano in un paese straniero sostandovi per brevi periodi, limitatamente alla durata del contratto lavorativo che li lega all’azienda che li ha richiesti.
“pròfugo”: s. m. (f. -a) e agg. [dal lat. profŭgus, der. di profugĕre «cercare scampo», comp. di pro-1 e fugĕre «fuggire»] (pl. m. -ghi). – Persona costretta ad abbandonare la sua terra, il suo paese, la sua patria in seguito a eventi bellici, a persecuzioni politiche o razziali, oppure a cataclismi come eruzioni vulcaniche, terremoti, alluvioni, ecc. (in questi ultimi casi è oggi più com. il termine sfollato): il p. Enea; i p. del Veneto nella prima guerra mondiale; dalla capitale si irradiavano per tutto il paese torme di p., senza pane e senza tetto, terrificati dalle rappresaglie (P. Levi); i p. della Dalmazia e Venezia Giulia, durante e dopo la seconda guerra mondiale; le famiglie p. del Polesine, del Belice, del Friuli; accogliere, assistere i p.
Ah, l’ idioma gentil sonante e puro, come lo definiva Vittorio Alfieri, asservito alle circostanze di questo e di quello… solo per suo personale uso e consumo!

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Bocciare o non bocciare è solo questo il problema?


Scuola-elementare.jpg_757578296“Un sistema scolastico che perde per strada il 15% dei suoi utenti dovrebbe essere immediatamente sottoposto alla lente di ingrandimento, interrogarsi sulla sua qualità e sulla sua produttività che qualunque esperto di economia assumerebbe come metro per misurarne efficienza e convenienza.”
Fermo restando che io sono dell’idea che bisognerebbe riportare “la bocciatura” alla scuola primaria, bocciatura non intesa nel senso del lasciare per strada qualcuno dei miei alunni, la qual cosa tozzerebbe, striderebbe con il mio pensiero pedagogico che risente molto della pedagogia montessoriana e della scuola di Barbiana, ma riporterei la bocciatura in quegli “ambienti” in cui non esiste l’amore per la cultura. In quella fascia di popolazione, dove più alto è il numero dei concepimenti, in cui l’analfabetismo non è solo funzionale ma “costituzionale”. In questi ambienti vige il pensiero del lassaiz faire, del tira a campare. Un ambiente in cui l’ignoranza culturale si coniuga con l’ignoranza etica e qui, nel contesto dove io opero, costituisce una larghissima fetta. La cosa peggiore è che questo pensiero per “traslazione” ricade su tutto l’ambiente scolastico, da questo scaturisce l’inerzia, l’apatia, la politica del: “Chi se ne frega, se vuole studiare studia… non sono problemi miei”.
Io penso invece che un bambino che rimane indietro, un alunno che si perde per strada o che cambia strada, sia il frutto di una risposta inadeguata del sistema tutto: scolastico e sociale.
E’ vero, spetta alla scuola dare risposte che siano motivanti e accattivanti per tutti ma se dall’altra parte c’è una famiglia che reputa più importante un concorso canoro, una partita di calcio o una lezione di danza (questo lo status symbol di chi vive nei quartieri degradati dei nostri centri urbani, purtroppo) allora nessun intervento metodologico-educativo-didattico può fare miracoli.
Detto questo, concordo su quanto dice il professor Fioravanti Giovanni (QUI il suo articolo), non è questo il problema che oggi tocco con mano, dove una scuola perde iscrizioni, e quindi docenti, in numero davvero vergognoso, ed è la prima volta che accade in oltre trent’anni di attività, ed allora concordo: “Un sistema scolastico che perde per strada il 15% dei suoi utenti dovrebbe essere immediatamente sottoposto alla lente di ingrandimento, interrogarsi sulla sua qualità e sulla sua produttività che qualunque esperto di economia assumerebbe come metro per misurarne efficienza e convenienza.”

Perché se le famiglie hanno dirottato altrove le iscrizioni significa che hanno valutato l’efficienza e la convenienza inadeguati, inappropriati.

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