
Animatore digitale: figura professionale

Circa dieci anni fa, come docente specializzata sul sostegno, mi occupavo di una bambina affetta da Sindrome di Williams (conosciuta anche come la sindrome dei “bambini con gli occhi a stella”), una rarissima malattia genetica, colpisce un bambino su 20.000, che oltre ai vari problemi fisici è caratterizzata da “un profilo cognitivo con deficit visuo-spaziale, che contrasta con le buone capacità di linguaggio. I bambini affetti presentano un comportamento ipersociale e interagiscono bene con le altre persone. Sono molto sensibili al rumore e hanno buone capacità musicali”. Frequentava la prima elementare ed era davvero dolcissima, se tutti noi “normali” possedessimo la metà della sua dolcezza vi assicuro che il mondo sarebbe molto ma molto migliore.
Non mi dilungo più sulla fatica e sull’impegno che mi ha comportato quell’anno. Per me era una sfida riuscire a dare alla bambina il minimo degli strumenti che le consentissero di integrarsi nella vita scolastica. Il mio primo obiettivo, quando lavoravo con questi bambini, è sempre stato quello dell’integrazione a 360° e devo dire, perdonatemi l’immodestia, che ci sono sempre riuscita. Lavorare con un bambino affetto da Sindrome di Williams era una doppia sfida. Non si trattava solo di portarla a padroneggiare lo “spazio fisico” del quaderno ma anche di insegnarle ad associare fonema e grafema. Con lei ci sono riuscita e ricordo ancora adesso la faccia meravigliata della neuropsichiatra infantile, quando a marzo andai insieme alla madre per un controllo di routine, che nel sentirla leggere esclamò: – “Impossibile! Abbiamo sbagliato la diagnosi clinica!”
Ieri, nel rovistare tra le mie carte, ho ritrovato il bigliettino che la madre le fece fare alla fine dell’anno scolastico (la sua fotografia, dentro la cornice, regalo che la mamma mi fece, è nella libreria del mio studio e non passa giorno che non la guardi e che il mio pensiero non vada a lei). Bene, in questo biglietto c’è sintetizzato non solo il risultato del mio lavoro ma anche l’escamotage che adottai per farle acquisire la padronanza dello spazio quando doveva scrivere, insieme all’abilità raggiunta nel colorare dentro le linee. Come dice la mamma: E’ stata una grande sfida ma l’abbiamo vinta. L’ unico rammarico è quello di non averla potuta accompagnare fino alla porta della scuola media.
Un bacio Caterina…
(Evelina Chiocca, per questo ti chiedo di continuare a batterti, per questi bambini che con una buona guida possono realmente venire fuori dai confini in cui sono relegati…)
Riflettevo sugli studi, a livello della “pazzia” del Lombroso. Quel suo perseguire un idea e fare di tutto per avvallarla, fino ad arrivare al punto di procurarsi teschi e cervelli in modo illecito. Come spesso mi accade, cercavo di approfondire un po’ le caratteristiche del personaggio, in un certo senso procedendo in linea con il suo pensiero. Non mi raccapezzo come le sue teorie sull’atavismo e “l’ereditarietà” della delinquenza possano aver avuto tanto successo fino a creare in molti italiani la convinzione che il meridionale è “brutto, sporco, cattivo e… intellettualmente inferiore. Ricordiamo e teniamo bene a mente che:
Forse abbiamo un problema linguistico in Italia:
“immigrato”: agg. e s. m. (f. -a) [part. pass. di immigrare]. – Che, o chi, si è trasferito in un altro paese: operai i., famiglie i. nel Nord; in senso specifico, riferendosi ai soli spostamenti determinati da dislivelli nelle condizioni economiche dei varî paesi, chi si è stabilito temporaneamente o definitivamente per ragioni di lavoro in un territorio diverso da quello d’origine: i. regolari; i. irregolari (o clandestini), privi di permesso di soggiorno; i. stagionali, quelli che emigrano in un paese straniero sostandovi per brevi periodi, limitatamente alla durata del contratto lavorativo che li lega all’azienda che li ha richiesti.
“pròfugo”: s. m. (f. -a) e agg. [dal lat. profŭgus, der. di profugĕre «cercare scampo», comp. di pro-1 e fugĕre «fuggire»] (pl. m. -ghi). – Persona costretta ad abbandonare la sua terra, il suo paese, la sua patria in seguito a eventi bellici, a persecuzioni politiche o razziali, oppure a cataclismi come eruzioni vulcaniche, terremoti, alluvioni, ecc. (in questi ultimi casi è oggi più com. il termine sfollato): il p. Enea; i p. del Veneto nella prima guerra mondiale; dalla capitale si irradiavano per tutto il paese torme di p., senza pane e senza tetto, terrificati dalle rappresaglie (P. Levi); i p. della Dalmazia e Venezia Giulia, durante e dopo la seconda guerra mondiale; le famiglie p. del Polesine, del Belice, del Friuli; accogliere, assistere i p.
Ah, l’ idioma gentil sonante e puro, come lo definiva Vittorio Alfieri, asservito alle circostanze di questo e di quello… solo per suo personale uso e consumo!
“Un sistema scolastico che perde per strada il 15% dei suoi utenti dovrebbe essere immediatamente sottoposto alla lente di ingrandimento, interrogarsi sulla sua qualità e sulla sua produttività che qualunque esperto di economia assumerebbe come metro per misurarne efficienza e convenienza.”
Fermo restando che io sono dell’idea che bisognerebbe riportare “la bocciatura” alla scuola primaria, bocciatura non intesa nel senso del lasciare per strada qualcuno dei miei alunni, la qual cosa tozzerebbe, striderebbe con il mio pensiero pedagogico che risente molto della pedagogia montessoriana e della scuola di Barbiana, ma riporterei la bocciatura in quegli “ambienti” in cui non esiste l’amore per la cultura. In quella fascia di popolazione, dove più alto è il numero dei concepimenti, in cui l’analfabetismo non è solo funzionale ma “costituzionale”. In questi ambienti vige il pensiero del lassaiz faire, del tira a campare. Un ambiente in cui l’ignoranza culturale si coniuga con l’ignoranza etica e qui, nel contesto dove io opero, costituisce una larghissima fetta. La cosa peggiore è che questo pensiero per “traslazione” ricade su tutto l’ambiente scolastico, da questo scaturisce l’inerzia, l’apatia, la politica del: “Chi se ne frega, se vuole studiare studia… non sono problemi miei”.
Io penso invece che un bambino che rimane indietro, un alunno che si perde per strada o che cambia strada, sia il frutto di una risposta inadeguata del sistema tutto: scolastico e sociale.
E’ vero, spetta alla scuola dare risposte che siano motivanti e accattivanti per tutti ma se dall’altra parte c’è una famiglia che reputa più importante un concorso canoro, una partita di calcio o una lezione di danza (questo lo status symbol di chi vive nei quartieri degradati dei nostri centri urbani, purtroppo) allora nessun intervento metodologico-educativo-didattico può fare miracoli.
Detto questo, concordo su quanto dice il professor Fioravanti Giovanni (QUI il suo articolo), non è questo il problema che oggi tocco con mano, dove una scuola perde iscrizioni, e quindi docenti, in numero davvero vergognoso, ed è la prima volta che accade in oltre trent’anni di attività, ed allora concordo: “Un sistema scolastico che perde per strada il 15% dei suoi utenti dovrebbe essere immediatamente sottoposto alla lente di ingrandimento, interrogarsi sulla sua qualità e sulla sua produttività che qualunque esperto di economia assumerebbe come metro per misurarne efficienza e convenienza.”
Perché se le famiglie hanno dirottato altrove le iscrizioni significa che hanno valutato l’efficienza e la convenienza inadeguati, inappropriati.
Altri due biglietti di invito per la Prima Comunione che trovate a questo indirizzo web: http://cristallo-di-quarzo.blogspot.it/
Ho realizzato una serie di biglietti per gli inviti per la Prima comunione. Potete visionarli a questo link: http://cristallo-di-quarzo.blogspot.it/, dove potete fare anche il download per stamparli, sempre che vi piacciano… (Cliccate sul titolo del post per vedere l’anteprima)
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