In collegio, i bambini cenavano prima delle suore. Una sera, nel passare davanti al loro refettorio, gli occhi mi caddero sui piattini di frutta accanto ad ogni posto. Erano bellissimi grappoli di uva bianca, grossi, gonfi e torniti che campeggiavano nei singoli piattini e non potetti fare a meno di osservare come fossero differenti da quelli piccoli che ci erano appena stati serviti a noi. Così, senza pensarci su due volte, l’osservazione la feci ad alta voce e fu udita dalla suora assistente. Il giorno dopo, nell’entrare nel nostro refettorio, mi accorsi di risatine e gomitate fra le mie compagne che mi lanciavano occhiate divertite. Nel prendere posto a sedere notai che davanti a me c’era un bel piatto di uva dai chicchi belli grossi. Lì per lì rimasi interdetta, mi sedetti e iniziai a guardare le compagne al mio tavolo, erano tavolini esagonali, quindi con sei posti… Chiesi cosa significasse la loro risata e mi dissero: “Ieri sera ti sei lamentata che noi abbiamo avuto pochi chicchi d’uva per cena, ora mangiati tutta questa e poi vedrai cosa ti accadrà!”. Smarrita, interdetta, chiesi che cosa mi sarebbe dovuto accadere e loro mi dissero: “Con tutta quest’uva sicuramente stanotte ti farai la pipì addosso!”. Avevo nove anni ma compresi che la suora assistente aveva trovato la “giustificazione” al perché a noi venivano dati pochi chicchi mentre le suore avevano i grappoli interi. Non risposi nulla, non mi feci la pipì addosso… non avevo mai bagnato il letto dalla nascita, figuratevi se potevo bagnarlo a nove anni! Ma ricevetti la prima conferma di come il mio pensiero fosse stato mal interpretato. La mia osservazione non era fatta pensando solo alla mia pancia ma anche a quella di tutte le compagne. Ci rimasi malissimo, non trovavo giusto che io potessi godere di tanta abbondanza mentre loro continuavano a rifocillarsi con 10 chicchi d’uva. Tacqui. Altro non potevo fare, e mi gustai il grappolo fino all’ultimo piccolo chicco. Ma continuo a portarmi dietro un fardello che fatico a mandare giù. Continuo a soffrire, oggi come allora, della fatica che fanno le persone a comprendere il mio pensiero. E’ il mio destino. Per quanto mi dimeni in questa bagneruola terrena non riesco a romperne i confini, a frantumare gli schemi… mi sento un po’ come Zi’ Dima dentro La Giara, voglio romperla ma mi viene impedito di farlo perché la mia ragione cozza contro la ragione dell’altro…
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