
Quattro anni fa, quando la scuola era in pieno fermento e scioperavamo contro il DL107/15 io mi proposi, ed accettai, la funzione di “Animatore Digitale”, funzione che NON prevedeva alcun compenso (insomma, si lavorava per la Fatebenefratelli). Quello che mi rattristò fu il fatto che persi “la stima” di un collega con cui fino ad allora avevamo condiviso lo stesso identico pensiero. Lui non ha voluto comprendere le ragioni della mia scelta. E da allora è scomparso, non lo vedo più. La cosa mi ferì, e continua a farmi male, moltissimo, ma non avevo nessuna intenzione di retrocedere dal fare qualcosa che oltre a piacermi davvero mi avrebbe permesso di mettere a disposizione delle colleghe “quindici” anni di studi informatici. Era arrivato il momento di trasmettere agli altri tutto quello che avevo appreso anche sacrificando le mie ore di sonno. Amo il mio lavoro, amo rendermi utile agli altri e non mi interessa avere il tornaconto di quello che faccio. A ben pensarci la Vita è mia creditrice. Infatti è “sempre” stata condizionata da scelte personali fatte prima di tutto per compiacere gli altri, pur subendo le altrui decisioni per amor di quiete ho sempre anteposto le esigenze degli altri alle mie. A volte ho lottato, ho cercato di far comprendere le ragioni delle mie scelte, ma con sempre scarsi risultati. Per cui alla fine ho gettato la spugna.
Adesso, leggendo “Leggere Lolita a Teheran”, mi rendo conto che sono situazioni in cui ci troviamo tutti. Alla protagonista viene richiesto di tornare ad insegnare all’Università. Insegnamento che lei aveva abbandonato perché non voleva sottostare all’obbligo di indossare il velo. Adesso, a distanza di anni, la tentazione di retrocedere dal suo proposito si ripresenta. Il problema per lei è Accettare o Rifiutare? Rifiutare in nome della coerenza e di quello in cui crede o accettare per amore dei giovani e del suo lavoro? Tutti noi, a un certo punto della nostra giornata ci troviamo davanti a un bivio e siamo costretti a scegliere. Ma scegliere non è facile. Sarebbe bello scegliere la strada meno dolorosa, quella che ci faccia stare bene ma corriamo il rischio di far soffrire gli altri. Le persone che amiamo, quelle con cui condiviamo tragitti più o meno lunghi… Allora si scende a compromessi, con noi stessi e con gli altri.Quanto è duro il vivere

“Essere o non essere, questo è il problema.
Se sia più nobile sopportare
le percosse e le ingiurie di una sorte atroce,
oppure prendere le armi contro un mare di guai
e, combattendo, annientarli.
Morire, dormire.
Niente altro.
E dire che col sonno mettiamo fine
al dolore del cuore e ai mille colpi
che la natura della carne ha ereditato
È un epilogo da desiderarsi devotamente.
Morire, dormire.
Dormire, forse sognare: ah, c’é l’ostacolo,
perchè in quel sogno di morte
il pensiero dei sogni che possano venire,
quando ci saremo staccati dal tumulto della vita,
ci rende esitanti.
Altrimenti chi sopporterebbe le frustate e lo scherno del tempo
le ingiurie degli oppressori, le insolenze dei superbi,
le ferite dell’amore disprezzato,
le lungaggini della legge, l’arroganza dei burocrati
e i calci che i giusti e i mansueti
ricevono dagli indegni.
Qualora si potesse far stornare il conto con un semplice pugnale,
chi vorrebbe portare dei pesi
per gemere e sudare
sotto il carico di una vita logorante
se la paura di qualche cosa dopo la morte,
il paese inesplorato dal quale nessun viandante ritorna,
non frenasse la nostra volontà,
facendoci preferire i mali che sopportiamo
ad altri che non conosciamo?
Così la coscienza ci fa tutti vili
e così il colore innato della risolutezza,
lo si rovina con una squallida gettata di pensiero
e le imprese d’alto grado e il momento,
proprio per questo, cambiano il loro corso
e perdono persino il loro nome di azioni”.
[Shakspeare, Amleto – Il monologo]