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Guerra e Pace


“Quanto maggiore appare la necessità, tanto minore appare la libertà. E viceversa.”

Una sconfitta della Russia significherebbe la fine della Russia, di Putin e della sua corrotta politica. Ed è un esito che un megalomane suo pari difficilmente potrà accettare.

Come finirà? Riuscirà a salvarsi la faccia?

La Storia ce l’ha insegnato come finiscono in occidente, dove il pensiero liberale e democratico è nel nostro DNA, i dittatori e le dittature…

Ce lo insegna la nostra storia italica: dai moti di Palermo contro i francesi, ai moti napoletani capeggiati da Masaniello contro gli spagnoli. Dalle cinque giornate di Milano contro gli austriaci alla lotta partigiana contro i nazi-fascisti.

L’orgoglio di appartenere a una Nazione, la fierezza nella Bandiera Nazionale non stridono, come vogliono i populisti di destra, con l’ adesione a una Unione di Popoli sotto l’egida della Pace e della Libertà individuale e nazionale.

Pace e Libertà sono un’ossimoro in quegli stati dove il popolo soggiace alla legge delle armi, degli arresti di massa, alla censura e dove il popolo è costretto a chinare le spalle e la testa.

C’è una Ragione superiore che la misera ragione materialista, basata sugli interessi personali e megalomani, non potrà mai sottomettere ed è quella dettata dall’ Amore.

Quella che un folle ci ha detto di seguire tremila anni fa e l’Amore è Pace e non Guerra (#AngeliKaMente, urlo BASTA… basta sangue, morti, schiavi, sorprusi e violenze)

“La guerra è un atto contrario alla ragione umana e a tutta la ragione umana.” (Lev Tolstoj)

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La notte Santa di Guido Gozzano


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“Consolati, Maria, del tuo pellegrinare!
Siam giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei.
Presso quell’osteria potremo riposare,
ché troppo stanco sono e troppo stanca sei”.
Il campanile scocca
lentamente le sei.

“Avete un po’ di posto, o voi del Caval Grigio?
Un po’ di posto per me e per Giuseppe?”.
“Signori, ce ne duole: è notte di prodigio;
son troppi i forestieri; le stanze ho piene zeppe”.
Il campanile scocca
lentamente le sette.

“Oste del Moro, avete un rifugio per noi?
Mia moglie più non regge ed io son così rotto!”.
“Tutto l’albergo ho pieno, soppalchi e ballatoi:
Tentate al Cervo Bianco, quell’osteria più sotto”.
Il campanile scocca
lentamente le otto.

“O voi del Cervo Bianco, un sottoscala almeno
avete per dormire? Non ci mandate altrove!”.
“S’attende la cometa. Tutto l’albergo ho pieno
d’astronomi e di dotti, qui giunti d’ogni dove”.
Il campanile scocca
lentamente le nove.

“Ostessa dei Tre Merli, pietà d’una sorella!
Pensate in quale stato e quanta strada feci!”.
“Ma fin sui tetti ho gente: attendono la stella.
Son negromanti, magi persiani, egizi, greci…”.
Il campanile scocca
lentamente le dieci.

“Oste di Cesarea…”. “Un vecchio falegname?
Albergarlo? Sua moglie? Albergarli per niente?
L’albergo è tutto pieno di cavalieri e dame:
non amo la miscela dell’alta e bassa gente”.
Il campanile scocca
le undici lentamente.

“La neve!”. “Ecco una stalla!”. “Avrà posto per due?”.
“Che freddo!”. “Siamo a sosta”. “Ma quanta neve, quanta!”.
“Un po’ ci scalderanno quell’asino e quel bue…”.
Maria già trascolora, divinamente affranta…
Il campanile scocca
La Mezzanotte Santa.

È nato!
Alleluia, alleluia,
è nato il Sovrano Bambino!
La notte, che già fu sì buia,
risplende di un astro divino.
Orsù, cornamuse, più gaie,
suonate; squillate, campane!
Venite, pastori e massaie,
o genti vicine e lontane!
Non sete, non molli tappeti,
ma, come i libri hanno detto
da quattro mill’anni i profeti
un poco di paglia ha per letto.
Per quattro mill’anni s’attese
quest’ora su tutte le ore.
È nato! È nato il Signore!
È nato nel nostro paese!
La notte, che già fu si buia,
risplende di un astro divino.
È nato il Sovrano Bambino.
È nato!
Alleluia! Alleluia!

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Copio e incollo


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Foto: Opera di Alberonero, Catanzaro.

“Ho atteso alcuni giorni prima di intervenire pubblicamente sull’arresto del sindaco di Riace. Ho voluto prima leggere l’ordinanza del Gip, ho voluto riflettere su tanti commenti, ho voluto lasciar sedimentare le mie emozioni. Per diverse ragioni – non ultimo, il mio ruolo di docente di materie giuridiche che insegna ai propri allievi il valore della legge, il diritto della critica e dell’impegno per cambiare le norme ingiuste ma anche il dovere di rispettarle finché vigenti – ho ritenuto di non poter confinarmi in uno slogan (io sto con Mimmo Lucano, questo è certo) ma di dover articolare il mio pensiero, distinguendo alcuni profili, a mio avviso i più rilevanti, della vicenda.
C’è innanzitutto l’aspe
tto giuridico-formale. Posto che il Gip liquida molti dei capi d’accusa (e inviterei tutti a soffermarsi su questo dato: è abbastanza raro che un Procuratore capo sia così clamorosamente smentito in sede di valutazione delle richieste di misura cautelare) e che la vicenda dei matrimoni combinati è risibile (è davvero incredibile che per un (1) matrimonio forse combinato e un (1) matrimonio suggerito e nemmeno celebrato si parli di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina) l’unica accusa rimasta in piedi è quella relativa all’affidamento diretto del servizio di raccolta differenziata a cooperative prive dei requisiti richiesti.
Rispetto a questa accusa Mimmo Lucano è un cittadino come tutti gli altri. Dovrà difendersi secondo le regole, ha diritto ad essere considerato innocente fino all’ultimo grado di giudizio e dovrà pagare nel caso abbia sbagliato. Si può e si deve aggiungere che non gli viene contestato nessun arricchimento personale, che l’affidamento riguarda un servizio erogato in un piccolissimo centro abitato e quindi per importi molto contenuti e che è del tutto evidente la sproporzione dei mezzi d’indagine utilizzati e della misura cautelare applicata, ma chiunque – anche se vittima di un accanimento investigativo – deve essere giudicato come tutti gli altri.
Accanto a queste cons
iderazioni ci sono quelle più propriamente politiche. Le dichiarazioni di Salvini (e anche di alcuni deputati 5 stelle) sono inaccettabili in qualunque contesto democratico. La criminalizzazione delle idee altrui, la volontà di annientamento degli avversari, l’odio sparso a piene mani, la strategia di estremizzazione delle posizioni ravvivano ancora una volta l’allarme sullo scivolamento di questo paese verso una democrazia svuotata dei propri valori e riempita di autoritarismo. Allo stesso modo, l’azione sempre più dura di pezzi della magistratura e dell’apparato statale in Calabria sta conducendo verso l’azzeramento di esperienze scomode e alternative, con il rischio (o la volontà) di sterilizzare i fermenti positivi che ancora si sviluppano in questa Regione. Tra scioglimenti dei comuni, interdittive antimafia e ordinanze di custodia cautelare poi annullate si sta colpendo – da Cortale a Gioiosa a Riace – sempre più spesso chi non è allineato.
Guardare alla magistratura e/o alle prefetture con la massima fiducia e con la speranza che da loro venga lo sradicamen
to della ‘ndrangheta e della mala politica non può significare accettare acriticamente che esse si posizionino oltre la legge.
Ma non è ancora questo il punto.
Se si inscrive la vicenda di Mimmo Lucano dentro un perimetro esclusivamente legalitario o politico non si può comprendere quello che è accaduto in questi anni a Riace.
Riace è stato un modello si è chiesto qualcuno in questi giorni? Penso di si, penso anche che forse lo abbiamo rivestito di una retorica eccessiva e non abbiamo voluto vederne alcuni limiti (ad esempio, si dovrebbe riflettere sulla capacità o meno di generare sviluppo economico duraturo una volta ripopolati i borghi), ma Riace ha parlato al mondo della possibilità di salvare le vite degli ultimi, di dargli una speranza, di costruire incontri, di privilegiare l’
umanità invece del denaro. E soprattutto Mimmo Lucano è stato un uomo, un uomo che ha caparbiamente e generosamente dedicato le proprie energie verso uomini e donne che non conosceva, che avevano un altro colore dal suo, che scappavano da guerre lontane. Un uomo che ha fatto indubbiamente, evidentemente, costantemente del bene.
E’ per questo dato – l’umanità che trionfa in un minuscolo paesino della Locride mentre soffre nel resto del mondo – che Mimmo Lucano dovrebbe essere candidato per il premio Nobel della Pace. Anche, o forse soprattutto, se avesse violato qualche norma procedurale o non avesse osservato qualche disposizione di legge. Per i suoi eventuali errori dovrebbe pagare, ma allo stesso tempo per i suoi evidenti e straordinari meriti dovrebbe essere riconosciuto per quello che è: un uomo speciale, un eroe.

Qualche giorno fa, prima di questa vicenda, all’inizio del mio corso ho chiesto ad alcuni studenti di leggere un libro di Natalia Ginzburg (Serena Cruz, o la vera giustizia) per poi discutere del rapporto tra legge e giustizia. La tensione tra legge e giustizia affonda nella notte dei tempi e sappiamo anche che non sempre chi sta dalla parte della giustizia ottiene ragione. Ma questo non è un motivo sufficiente per non continuare a stare dalla parte degli indiani, come direbbe il mio amico Giancarlo Rafele.

Chi, come me, insegna diritto nelle aule universitarie, insegna – deve insegnare – anche a non trasgredire la legge. Ma se mai mi capitasse di essere sindaco della mia città e di trovarmi dinanzi ad una regola che sento profondamente ingiusta e dalla quale può dipendere la vita di una persona, proprio come Mimmo Lucano non esiterei, assumendomene tutte le responsabilità, a trasgredirla. Non viviamo per essere salvi, viviamo per essere giusti.”

Nicola Fiorita ( professore associato presso l’Università della Calabria )

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“Noi non siamo cristiani”


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– Noi non siamo cristiani, – essi dicono, – Cristo si è fermato a Eboli –. Cristiano vuol dire, nel loro linguaggio, uomo: e la frase proverbiale che ho sentito tante volte ripetere, nelle loro bocche non è forse nulla piú che l’espressione di uno sconsolato complesso di inferiorità. Noi non siamo cristiani, non siamo uomini, non siamo considerati come uomini, ma bestie, bestie da soma, e ancora meno che le bestie, i fruschi, i frusculicchi, che vivono la loro libera vita diabolica o angelica, perché noi dobbiamo invece subire il mondo dei cristiani, che sono di là dall’orizzonte, e sopportarne il peso e il confronto. Ma la frase ha un senso molto piú profondo, che, come sempre, nei modi simbolici, è quello letterale. Cristo si è davvero fermato a Eboli, dove la strada e il treno abbandonano la costa di Salerno e il mare, e si addentrano nelle desolate terre di Lucania. Cristo non è mai arrivato qui, né vi è arrivato il tempo, né l’anima individuale, né la speranza, né il legame tra le cause e gli effetti, la ragione e la Storia. Cristo non è arrivato, come non erano arrivati i romani, che presidiavano le grandi strade e non entravano fra i monti e nelle foreste, né i greci, che fiorivano sul mare di Metaponto e di Sibari: nessuno degli arditi uomini di occidente ha portato quaggiú il suo senso del tempo che si muove, né la sua teocrazia statale, né la sua perenne attività che cresce su se stessa. Nessuno ha toccato questa terra se non come un conquistatore o un nemico o un visitatore incomprensivo. Le stagioni scorrono sulla fatica contadina, oggi come tremila anni prima di Cristo: nessun messaggio umano o divino si è rivolto a questa povertà refrattaria. Parliamo un diverso linguaggio: la nostra lingua è qui incomprensibile. I grandi viaggiatori non sono andati di là dai confini del proprio mondo; e hanno percorso i sentieri della propria anima e quelli del bene e del male, della moralità e della redenzione. Cristo è sceso nell’inferno sotterraneo del moralismo ebraico per romperne le porte nel tempo e sigillarle nell’eternità. Ma in questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non è disceso. Cristo si è fermato a Eboli.[Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli]

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Ripetiamo un po’ di storia della Terra


In America i soliti intelligentoni – categoria in rapida ascesa anche qui da noi – se la

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prendono con le statue di Cristoforo Colombo. Doveva starsene in Italia invece di solcare i mari e infestare abusivamente il suolo americano. A protestare, i discendenti degli abusivi europei che potevano ritornarsene in Europa ma hanno pensato bene di rimanere abusivamente in America, e che fino all’altro ieri se la prendevano con gli indiani, poi coi neri, coi messicani e con chi capita capita. Abusivi anche gli indiani, che in America ci sono arrivati dall’Asia quando potevano starsene a girarsi i pollici a casa loro. E abusivi anche gli asiatici i quali a loro volta venivano dall’Africa (ecco, sempre i soliti neri, tutta colpa loro). Abusivi gli stessi neri perché messi dove non erano da un accidente di meteorite, abusivo anche lui come il Big Bang del resto, dilatatosi a rubare spazio all’universo. E se dietro tutto questo ci fosse Dio, avremmo cosi individuato – con grande soddisfazione degli idioti – il responsabile di tutto l’abusivismo sulla terra, e non solo sulla terra.(Filippo Martorana, professore di Lettere Moderne)

Amministrazione Trump… I trogloditi dimenticano cosa hanno fatto i loro antenati: evasi dalle carceri europee ed approdati a saccheggiare e confinare i nativi? Ora se la prendono con uno che li ha aiutati a scappare. Figli di immigrati violenti che non conoscono la storia. Talebani del terzo millennio. Il mondo sta andando verso l’autodistruzione, si sta suicidando accecato dall’odio. Continuiamo così, mi raccomando. Lottate, combattete, scannatevi per un pezzo di terra che diventerà la vostra tomba… “Memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris”

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Solo un secolo fa


Annette Kellerman in una delle sue foto d’epoca più scandalose di nuoto. Nell’estate del 1907, una donna australiana di nome Annette Kellerman diede scandalo sulle sabbie della spiaggia di Revere appena a nord di Boston. Tra le bagnanti femminili presenti che indossavano il costume da bagno standard (camicetta, gonna, calze, scarpe da nuoto ) passeggiava verso l’acqua indossando un manicotto a manica corta tagliato a due centimetri sopra il ginocchio. Per questa sua iniziativa da atleta in procinto di affrontare una gara, la Kellerman fu tempestivamente arrestata per esposizione indecente. “È stata denunciata come sconsiderata”, riferì il New York Times sulle sue pagine, “e sono state fatte profezie oscure per il futuro dell’America”.

via Annette Kellerman: la “sirena australiana” che introdusse al nuoto ricreativo le donne americane — Iridediluce (Dott.ssa Fiorella Corbi)

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Nemesi storica*


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C’è chi lo chiama karma, chi parla di Nemesi storica, che poi è la stessa cosa, ma in senso Universale… #Rassegnatevi

Miramar

O Miramare, a le tue bianche torri
attediate per lo ciel piovorno
fosche con volo di sinistri augelli
vengon le nubi.
Miramare, contro i tuoi graniti
grige dal torvo pelago salendo
con un rimbrotto d’anime crucciose
battono l’onde.
Meste ne l’ombra de le nubi a’ golfi
stanno guardando le città turrite,
Muggia e Pirano ed Egida e Parenzo,
gemme del mare;
e tutte il mare spinge le mugghianti
collere a questo bastion di scogli
onde t’affacci a le due viste d’Adria,
rocca d’Absburgo;
e tona il cielo a Nabresina lungo
la ferrugigna costa, e di baleni
Trieste in fondo coronata il capo
leva tra’ nembi.
Deh come tutto sorridea quel dolce
mattin d’aprile, quando usciva il biondo
imperatore, con la bella donna,
a navigare!
A lui dal volto placida raggiava
la maschia possa de l’impero: l’occhio
de la sua donna cerulo e superbo
iva su ‘l mare.
Addio, castello pe’ felici giorni
nido d’amore costruito in vano!
Altra su gli ermi oceani rapisce
aura gli sposi.
Lascian le sale con accesa speme
istoriate di trionfi e incise
di sapienza. Dante e Goethe al sire
parlano in vano
da le animose tavole: una sfinge
l’attrae con vista mobile su l’onde:
ei cede, e lascia aperto a mezzo il libro
del romanziero.
Oh non d’amore e d’avventura il canto
fia che l’accolga e suono di chitarre
là ne la Spagna de gli Aztechi! Quale
lunga su l’aure
vien da la trista punta di Salvore
nenia tra ‘l roco piangere de’ flutti ?
Cantano i morti veneti o le vecchie
fate istriane ?
— Ahi! mal tu sali sopra il mare nostro
figlio d’Absburgo, la fatal Novara.
Teco l’Erinni sale oscura e al vento
apre la vela.
Vedi la sfinge tramutar sembiante
a te d’avanti perfida arretrando!
il viso bianco di Giovanna pazza
contro tua moglie.
È il teschio mozzo contro te ghignante
d’Antonietta. Con i putridi occhi
in te fermati è l’irta faccia gialla
di Montezuma.
Tra boschi immani d’agavi non mai
mobili ad aura di benigno vento,
sta ne la sua piramide, vampante
livide fiamme
per la tenebra tropicale, il dio
Huitzilopotli, che il tuo sangue fiuta,
e navigando il pelago co ‘l guardo
ulula — Vieni.
Quant’è che aspetto! La ferocia bianca
strussemi il regno ed i miei templi infranse:
vieni, devota vittima, o nepote
di Carlo quinto.
Non io gl’infami avoli tuoi di tabe
marcenti o arsi di regal furore;
te io voleva, io colgo te, rinato
fiore d’Absburgo;
e a la grand’alma di Guatimozino
regnante sotto il padiglion del sole
ti mando inferia, o puro, o forte, o bello
Massimiliano. — (Giosuè Carducci)

L’origine della locuzione è da ricollegarsi alla Nemesi della mitologia greca, delegata dagli dei a ristabilire il giusto equilibrio punendo la hýbris, l’arroganza dell’uomo che crede di poter travalicare certi limiti. Si tratta dunque di un richiamo strumentale ad un concetto storico-analitico proprio della cultura della Grecia antica, per come riflesso in molte delle opere pervenuteci. (font*

Nella retorica, la locuzione nemesi storica è utilizzata quando una serie di eventi storici, considerati negativi, si conclude con risultati compensatori inattesi.

Nel caso, ad esempio, di una serie di eventi i cui protagonisti si siano condotti in modo considerato riprovevole, è detta “nemesi storica” una eventuale conclusione di quegli eventi tale che i soggetti considerati negativamente (prevaricatori, grassatori, ecc.) ne patiscano – a causa del Fato o per il successo di volontà contrarie – uno svantaggio che appaia consolatorio o compensatorio e che possa suscitare una sorta di vendicativa soddisfazione: si sostiene, in breve, che la storia (o il Fato) abbia compiuto una vendetta in nome di chi abbia patito scorrettezze. Nell’uso politico della retorica, l’espressione è stata frequentemente evocata in ambiti dialettici prossimi, se non contigui, al cosiddetto giustizialismo.

La campagna di Russia, ad esempio, è definita la nemesi storica di Napoleone, e cioè ciò che frenò la sua arroganza e il suo desiderio di onnipotenza, rivelando i suoi errori e i suoi limiti di uomo.

Carducci e la nemesi degli Asburgo

Secondo un’interpretazione risorgimentale, diffusa principalmente da Carducci con l’ode Miramare, la casata degli Asburgo, imperatori d’Austria, sarebbe stata punita dalla storia e dal Fato per l’oppressione e le numerose uccisioni dei patrioti italiani del Lombardo-Veneto, nonché di quelli ungheresi[1][2]. La locuzione, nell’accezione corrente, fa riferimento, in particolare, alle varie sventure familiari e politiche della famiglia di Francesco Giuseppe I:

 

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L’anarco-capitalismo


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L’anarco-capitalismo, chiamato anche anarco-liberismo, anarchia di mercato, anarchia del libero mercato, capitalismo libertario o anarchismo della proprietà privata, è uno degli orientamenti della filosofia politica liberale e anarco-individualista (di area “libertarian), e della filosofia giuridica giusnaturalista contemporanea, ed è presente principalmente nel mondo anglosassone, sebbene non manchino oggi importanti esponenti anarco-capitalisti tedeschi, francesi, italiani e di altre nazionalità. Si tratta di un’ideologia politica che propone l’abolizione dello Stato a favore della sovranità individuale sotto il libero mercato.

Libertatis Æquilibritas, il simbolo del dollaro iscritto nel cerchio contraddistingue il movimento.

Il principale riferimento intellettuale per l’anarco-capitalismo è l’opera dell’economista e filosofo della politica Murray Rothbard (19261995). Apparsa sulla scena statunitense nel corso degli anni sessanta, questa teoria politica propone l’instaurazione di una società priva di tassazione, dove ogni servizio venga offerto dai privati tramite spesa volontaria e nella quale sia eliminato ogni ricorso alla coercizione attraverso il superamento dello Stato, ritenuto intrinsecamente autoritario. L’anarco-capitalismo appare anche legato alle tematiche dell’anarchismo storico, quali il mutualismo, l’antisessismo, l’antirazzismo e l’antispecismo (se si applica alla lettera il Principio di non aggressione), ma affonda le radici nella tradizione liberale e liberista, definendosi l’unica possibilità di dare un contenuto realistico e coerente alla proposta di abolire lo Stato e la violenza che è insita in esso.

André Gide (premio Nobel nel 1947) ammette che l’anarchismo (economico-capitalista n.d.r.) è il risultato di una fusione tra il liberalismo (che critica lo Stato, esaltando la libertà dell’individuo) e il socialismo (che critica la proprietà privata ed esalta il collettivismo, ma per giungere ad una società senza classi né Stato, ove l’individuo avrà il suo paradiso in terra).
La dottrina economica o meglio finanziaria dell’anarchismo si divide in due scuole: la prima ammette la proprietà privata, ma spogliata dalla prepotenza dell’ordinamento liberal/capitalistico (anarchismo/libertario-capitalista); la seconda vuole il collettivismo totale con la comunanza dei beni e la distruzione della proprietà privata (bolscevismo marxista/leninista), ma entro piccole federazioni o comunità autonome (federalismo anarchico) e non nello Stato “proletario” bolscevico (centralismo comunista).
[…]Il rimedio a questi tre flagelli (liberalismo, comunismo e anarchismo n.d.r.) dell’epoca moderna e contemporanea è il ritorno al reale, alla sana ragione e alla retta ‘Dottrina sociale’, altrimenti continuiamo a correre verso il baratro, che ha portato il liberalismo, il comunismo e l’anarchismo allo stato parossistico con la rivoluzione culturale del 1968 e che ha preso il potere globale nell’universo col ‘Nuovo Ordine Mondiale’ del neoconservatorismo anarco-capitalista statunitense (1990/2014). Ora quando ci si accorge di aver sbagliato strada occorre ritornare indietro per andare avanti nel verso giusto. Quindi se la modernità (liberalismo, anarchismo e comunismo) è fallita ed è stata uccisa dalla sua stessa figlia, la post-modernità (nichilismo), occorre ritornare ai princìpi della metafisica dell’essere e della filosofia politica che ne consegue.(Don Curzio Nitoglia)


A ben pensarci credo che abbia ragione. Questa è la realtà in cui il mondo si dibatte, oggi. Per questo nessuno si dichiara di destra, di sinistra o quant’altro. Per questo nascono le liste civiche e i movimenti. L’individualismo anarchico-capitalista, insediatosi nei meandri degli individui, di TUTTI gli individui, ruggisce come una bestia famelica assetata di soldi e di materialismo.
Buon giorno!!!

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Gianluca Caporaso: scrittore e …


logo-caporasoSul suo sito leggiamo: Vivo a Potenza, città in cui sono nato nel 1973.
Dopo la laurea in Scienze della comunicazione a Salerno mi sono specializzato in Comunicazione e Marketing al Master “UPA-Cà Foscari” di Venezia.
Mi occupo di solidarietà, progettazione culturale e di scrittura.
Collaboro da anni con due associazioni culturali.
La prima si chiama Identità Lucana (clicca qui) e realizza progetti di promozione del territorio (Basilicata Home, Basilicata in Tir, Spiritualia – Gli eventi dell’anima, Salsiccia Festival, Mostra dei Comuni, Le Domeniche dei Sindaci e altro ancora).
La seconda, invece è un collettivo artistico che si chiama La luna al guinzaglio, associazione che oltre a laboratori, performance e progetti culturali, ha anche realizzato due installazioni di rilievo internazionale che si intitolano Le Patamacchine – ovvero come telefonando a Gigi gli toccai un brufolo e La Tavola Celeste – ovvero lo spazio che offrì bivacco al tempo (clicca qui)
Noi a scuola l’abbiamo conosciuto grazie alla libreria “Clorofilla” di Caserta che organizzò un incontro a on gli alunni dopo che questi avevano acquistato, in seconda classe, il libro: I racconti di Punteville – Ovvero le mirabolanti cronache degli uomini che viaggiarono nelle città della punteggiatura

Da allora siamo rimasti in contatto,Gianluca si è conquistato non solo la nostra simpatia ma anche quella dei bambini e delle mamme al punto che acquistammo anche il suo secondo libro “Appunti di geofantastica

Adesso riesce ad emozionarmi con la sua “Lettera dell’amato

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di cui riporto uno stralcio…

” Ciao Predrag Matvejević //

Mia amata,

in autunno sul corpo infreddolito della terra gli alberi hanno posato il loro manto di foglie. Con questo gesto d’altri tempi si è aperta la stagione dei saluti, dei cammini che si perdono e delle strade che dileguano.

In inverno, intorno al fuoco dei camini e delle parole, ci siamo esercitati nell’antica arte della pazienza. Nell’attesa che il gelo finisse ci siamo passati i nomi del mondo come scrigni in cui mettere al riparo la vita. A tratti i nostri discorsi sono diventati oscuri e abbiamo parlato la lingua che si parla mentre si dorme. Da dietro i vetri abbiamo osservato qualche nostro pensiero randagio rovistare tra gli abbandoni: un affamato d’amore alla ricerca di un batticuore avanzato.

Adesso è primavera, mia amata e sale un tepore dalla luce che germoglia la vita.

Le voci tornano nelle strade come i fischi in bicicletta e dal limite dei paracarri spuntano pensieri felici come cani che rincorrono i pedali. C’è aria di mercati. Tutto risuona, tutto si ravviva e torna l’incanto di ritrovare le cose, poterle guardare così tanto da perderle di vista.

La terra rende agli alberi il vecchio manto e per ringraziare semina lampade di velluto a mazzi. Le chiama rose.

Autunno, inverno, primavera: una scuola dei commiati, un’arte della pazienza, una festa dei ritrovamenti. È tutto ciò che si raduna anche nelle stagioni della scrittura, mia amata, in questo fiore che raccoglie il tempo e chiede alla vita di impreziosirla. In questo fiore che a volte la celebra come nessuno sa fare.

Poi arriverà l’estate che scioglie i ginocchi e le forme, spegne le volontà e piega gli uomini come cucchiai sotto i rintocchi infuocati del mezzogiorno.

Lì le parole si seccano e il sole brucia la scrittura mentre il vento ne disperde il silenzio come una rosa di Gerico: polvere nella polvere.

Tu lo sai, mia amata, che solo i Beduini sanno riconoscere i granelli di una Rosa di Gerico perduti nella sabbia? Solo loro sanno riportarli all’acqua che li fa fiorire di nuovo. Assomigliano ai poeti, mia amata: zingari del deserto che possiedono le mappe per risalire dagli abissi alla parola.

Intanto, però, è tempo di profumare e di fischiare in bicicletta.

Buona primavera, mia amata!

Finale Ligure, 24 aprile 2017 / La lettera dell’amato”.

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Quando la scuola iniziava il 1° ottobre


Splendida riflessione di una collega.

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“Noi che andavamo a scuola il 1 ottobre, tanto tre settimane in più d’aula non producono certo scienziati.
Noi che non abbiamo mai portato sulle spalle uno zaino che pesa un quintale facendo credere al mondo che dentro c’è tutto il necessario per la conoscenza.
Noi che andavamo a scuola a piedi, con il vento, la pioggia e pure con la neve, al massimo con la mamma che ci guardava dalla finestra e non dal finestrino del Suv.
Noi che non avevamo il cellulare in tasca per chiamare casa ad ogni momento, anche per sapere se è l’ora di fare merenda.
Noi che la maestra era come la Madonna… intoccabile! Anche quando ci sgridava e ci metteva dietro la lavagna. Aveva ragione lei e manco andavamo a casa a lamentarci perché altrimenti ci toccava qualche altra punizione.
Noi che con due libri, un quaderno a righe e uno a quadretti, una matita e una penna non eravamo poi così scemi.
Noi che avevamo in classe il solito bullo che “sistemavamo” di persona senza chiamare in causa i genitori, i giornali o sollevare questioni sociologiche.
Noi che quando tornavamo a casa da scuola ci leccavamo pure il piatto dalla fame, senza tante storie su ciò che la mamma aveva preparato, fosse pure la trippa coi fagioli.
Noi che a fine pranzo non avevamo in mano il videogame e andavamo in cortile a giocare (per smaltire la trippa ed eravamo tutti belli asciutti) e poi facevamo i compiti e guardavamo la TV dei ragazzi.
Noi che abbiamo vissuto di poche cose ma abbiamo comunque ricordi belli. Indelebili.
E soprattutto NOI che tutti questi ricordi sono rimasti indelebili nel nostro cuore e nella nostra mente per sempre!
Di quella vecchia scuola che ci ha permesso di arrivare fino qui…non possiamo che dire ” Che bella era la NOSTRA scuola!!!!” (Gisella Fazio)