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Didattica laboratoriale


Nei miei anni di insegnamento quello che mi importava davvero era il desiderio di appassionare i miei alunni, tutti, sia i normo dotati che i soggetti affetti da disabilità fisiche o psichiche, alla conoscenza, alla scoperta del mondo e dei suoi abitanti. La metodica applicata non era mai definita tout court ma in funzione del momento, dell’argomento e delle disponibilità di materiale funzionale all’apprendimento nell’ ottica del learning by doing che abbracciava tutte le tesi dell’attivismo, da Dewey alla Scuola di Barbiana con un occhio particolare alle neuroscienze…

Ed è bellissimo ritrovarmi oggi a trovare conferme del mio lavoro, specialmente se ripenso alle notti passate a girarmi e rigirarmi nel letto interrogandomi se quello che stavo facendo fosse giusto. Se avesse raggiunto tutti i miei alunni o se correvo il rischio di lasciarne qualcuno indietro. Nella didattica giornaliera il punto di partenza è il problem setting. In una didattica laboratoriale per gruppi ad esempio bisogna dedicare molta cura nella loro formazione: individuare i leader, i gregari, i lassisti… Al fine di creare gruppi con un loro equilibrio interno.

Più leggo e più mi assale la voglia di fare le valigie e tornare in classe…

#AngeliKaMente in preda alla nostalgia…

Che cos’è un EAS – L’idea, il metodo, la didattica(Pier Cesare Rivoltella)
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Nerone, Khomeini, la #Bestia


Continua la mia lettura di “Leggere Lolita a Teheran” e una frase ieri mi ha colpito. Nel narrare gli accadimenti successivi alla presa del potere di Khomeini l’autrice, Azar Nafisi, scrive: -“Al mattino, con “Le avventure di Huckleberry Finn” sottobraccio, mi incamminavo per i viali che portavano all’università. A mano a mano che mi avvicinavo al campus, il numero delle scritte sui muri, e così pure il tono ultimativo delle richieste, aumentava. Mai che qualcuno protestasse contro le esecuzioni: piuttosto, si chiedeva più sangue. Durante il giorno, come tanti altri, anch’io faceva finta di niente. Soltanto la sera, davanti alle pagine del mio diario, e di notte, nei miei incubi, venivo assalita da una disperazione profonda, senza freni.”Nel guardare alla TV, i processi farsa contro i dissidenti chiede al marito: “Avresti mai pensato che potesse capitarci tutto questo?” . “No,” rispose lui “ma avrei dovuto”…Ecco i punti salienti: La gente chiedeva più sangue… e mi viene in mente “Quo vadis”, il popolo che non sopporta Nerone, che è stanco delle sue vessazioni, viene “addolcito e calmato” con gli spettacoli circensi dei primi cristiani che venivano dati in pasto ai leoni, nel Colosseo.

E, andando per associazione di idee, agendo a livello di metacognizione ripenso all’incendio di Roma e al tiranno Nerone che contempla lo spettacolo suonando la cetra e declamando i suoi insulsi versi, come diceva Petronio, l’abiter elegantiorum, dietro le sue spalle…

E sempre operando collegamenti metacognitivi la mia mente ritorna al presente e rivedo la faccia di #felpapig, la #Bestia, che condanna un pugno di gente inerme ai lager libici o li sequestra per giorni e giorni sulla nave, con il placito del popolino… e mentre fa questo lui si rimpizza di nutella, di arancini e di tiramisù. E non vedo nessuna differenza tra lui, Khomeini e Nerone… tutti e tre vittime di lucida e insana pazzia. Tutti e tre nemici dell’umanità, del popolo. Nemici di tutti coloro che ostacolano la loro vanagloria, il loro narcisismo, le loro frustazioni, la loro sete di Potere. E così se la prende con Mimmo Lucano, con Saviano, con Sandro Ruotolo e con chiunque dissente dal suo pensiero.

E poi la risposta del marito Bijan davanti all’orrore dei processi farsa: “Avrei dovuto”

Avrei dovuto pensare a quello che sarebbe successo dopo, due parole che racchiudono tutta la rabbia e l’impotenza di chi si rende conto di aver compiuto una scelta sbagliata…

Quanti di noi pensano a cosa potrà accaderci “dopo” se appoggiamo la #Bestia?

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Gianluca Caporaso: scrittore e …


logo-caporasoSul suo sito leggiamo: Vivo a Potenza, città in cui sono nato nel 1973.
Dopo la laurea in Scienze della comunicazione a Salerno mi sono specializzato in Comunicazione e Marketing al Master “UPA-Cà Foscari” di Venezia.
Mi occupo di solidarietà, progettazione culturale e di scrittura.
Collaboro da anni con due associazioni culturali.
La prima si chiama Identità Lucana (clicca qui) e realizza progetti di promozione del territorio (Basilicata Home, Basilicata in Tir, Spiritualia – Gli eventi dell’anima, Salsiccia Festival, Mostra dei Comuni, Le Domeniche dei Sindaci e altro ancora).
La seconda, invece è un collettivo artistico che si chiama La luna al guinzaglio, associazione che oltre a laboratori, performance e progetti culturali, ha anche realizzato due installazioni di rilievo internazionale che si intitolano Le Patamacchine – ovvero come telefonando a Gigi gli toccai un brufolo e La Tavola Celeste – ovvero lo spazio che offrì bivacco al tempo (clicca qui)
Noi a scuola l’abbiamo conosciuto grazie alla libreria “Clorofilla” di Caserta che organizzò un incontro a on gli alunni dopo che questi avevano acquistato, in seconda classe, il libro: I racconti di Punteville – Ovvero le mirabolanti cronache degli uomini che viaggiarono nelle città della punteggiatura

Da allora siamo rimasti in contatto,Gianluca si è conquistato non solo la nostra simpatia ma anche quella dei bambini e delle mamme al punto che acquistammo anche il suo secondo libro “Appunti di geofantastica

Adesso riesce ad emozionarmi con la sua “Lettera dell’amato

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di cui riporto uno stralcio…

” Ciao Predrag Matvejević //

Mia amata,

in autunno sul corpo infreddolito della terra gli alberi hanno posato il loro manto di foglie. Con questo gesto d’altri tempi si è aperta la stagione dei saluti, dei cammini che si perdono e delle strade che dileguano.

In inverno, intorno al fuoco dei camini e delle parole, ci siamo esercitati nell’antica arte della pazienza. Nell’attesa che il gelo finisse ci siamo passati i nomi del mondo come scrigni in cui mettere al riparo la vita. A tratti i nostri discorsi sono diventati oscuri e abbiamo parlato la lingua che si parla mentre si dorme. Da dietro i vetri abbiamo osservato qualche nostro pensiero randagio rovistare tra gli abbandoni: un affamato d’amore alla ricerca di un batticuore avanzato.

Adesso è primavera, mia amata e sale un tepore dalla luce che germoglia la vita.

Le voci tornano nelle strade come i fischi in bicicletta e dal limite dei paracarri spuntano pensieri felici come cani che rincorrono i pedali. C’è aria di mercati. Tutto risuona, tutto si ravviva e torna l’incanto di ritrovare le cose, poterle guardare così tanto da perderle di vista.

La terra rende agli alberi il vecchio manto e per ringraziare semina lampade di velluto a mazzi. Le chiama rose.

Autunno, inverno, primavera: una scuola dei commiati, un’arte della pazienza, una festa dei ritrovamenti. È tutto ciò che si raduna anche nelle stagioni della scrittura, mia amata, in questo fiore che raccoglie il tempo e chiede alla vita di impreziosirla. In questo fiore che a volte la celebra come nessuno sa fare.

Poi arriverà l’estate che scioglie i ginocchi e le forme, spegne le volontà e piega gli uomini come cucchiai sotto i rintocchi infuocati del mezzogiorno.

Lì le parole si seccano e il sole brucia la scrittura mentre il vento ne disperde il silenzio come una rosa di Gerico: polvere nella polvere.

Tu lo sai, mia amata, che solo i Beduini sanno riconoscere i granelli di una Rosa di Gerico perduti nella sabbia? Solo loro sanno riportarli all’acqua che li fa fiorire di nuovo. Assomigliano ai poeti, mia amata: zingari del deserto che possiedono le mappe per risalire dagli abissi alla parola.

Intanto, però, è tempo di profumare e di fischiare in bicicletta.

Buona primavera, mia amata!

Finale Ligure, 24 aprile 2017 / La lettera dell’amato”.

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Giù al Sud


 

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Pino Aprile, scrittore

Solo abbattendo i luoghi comuni, i pregiudizi, l’Italia può uscire dal provincialismo che la attanaglia.

Smettiamola di farci mettere i piedi in faccia da personaggi da avanspettacolo, da gentucola il cui naso non va oltre la loro pancia, ascoltiamo chi ci dà speranza. Chi ci aiuta a credere che un sud migliore si può avere perché al Sud c’è tanta brava gente, onesta, volenterosa intelligente,  che risolleverà le sorti di una provincia che per anni, chi sta al potere, chi ha i soldi,  ha svilito ed ha permesso che fosse svilita:

“Mai ho viaggiato a Sud come in questi ultimi due, tre anni, e ogni volta mi sorprendo a fare il conto di quanto non ne so e di quanto si possa percepire, di intenso, profondo, senza riuscire a cogliere appieno il senso dell’insieme. Ho pensato che fosse più corretto raccontare le tappe del mio viaggio, senza ricorrere ad artifici che le facessero diventare parte di una narrazione unica.

Ma questo paesaggio narrativo comunque parla, e sapere di noi, chiunque noi siamo, ovunque siamo, è opera collettiva. Questo libro è il mio mattone (termine disgraziatissimo per un libro) per il muro della casa che si costruisce insieme. Il Sud non ha voce, o voci piccole e sparse, ed è possibile che gli stessi protagonisti non percepiscano quanto siano parte di un tutto, forse decisivo. Mentre tutti guardano al Nord, ricco e potente, alle loro spalle, al Sud, credo stia nascendo l’Italia di domani. Un’Italia migliore.”

 

“Giù al sud, come i terroni salveranno l’Italia”

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Il Bambino Ipoacusico a Scuola – Strategie Educative e Didattiche


Daniele OcchipintiQuando dico che sono molto timida nessuno mi crede… E poco fa riflettevo come la cosa sia vera, al di là della percezione che gli altri hanno o non hanno di me.
I miei figli hanno sempre detto: Mamma, né tu né papà siete “commercianti” e questa caratteristica l’avete trasmessa anche a noi.
Gli ho sempre dato ragione in quanto penso che la prima “dote e/o caratteristica” che deve possedere chi si dedica al commercio è “l’anima del commerciante” la quale presuppone, a priori, che uno abbia una bella ed enorme faccia tosta.
Faccia tosta mal si concilia con la timidezza… ergo io NON ho l’anima del commerciante. Non ne faccio però un problema così grande sì da crearmi traumi o frustrazioni.
La dimostrazione pratica di ciò che dico è che ho molto “imbarazzo” nel farmi “pubblicità” ( che è l’anima del commercio) riguardo a due libercoli di poesie che ho pubblicato, i racconti che scrivo e che sono stati pubblicati, tempo fa, su una rivista on-line che si chiamava “Il Refolo”…(chissà se l’ editore è qui su FB…) e la mia tesi di specializzazione che a suo tempo la mia relatrice, la Professoressa Silvana Pica che ha lasciato questo pianeta qualche anno fa, mi chiese se poteva usarla come testo per i successivi corsi di specializzazione sul sostegno… Non potevo dire di no a Silvana, una donna con gli attributi che sapeva usare molto bene e la cui Professionalità ed Umanità, principalmente, erano per me motivo di stima e di ammirazione incondizionata.
Solo dopo alcuni anni, timidamente, trovandomi a pubblicare con riluttanza il mio primo libro di poesie mi decisi a fare un e-book della tesi e lì l’ho abbandonato.
Stasera, nell’aggiornare il mio account su Linkedin mi è tornato alla mente e sono andata a ripescarlo… avevo perfino dimenticato la pass di accesso.. Evelina Chiocca, ho pure dimenticato che nel sito della CIIS (precisamente qui: http://www.sostegno.org/node/202 ) Tu mi hai dedicato una pagina “pubblicitaria”… grazieee)
(Cercando un link ho scoperto un file in .ppt in cui ci sono sintetizzati i punti della MIA tesi… sul sito di “sostegnounimol”… Ricordo che anni fa ero stata contattata da una laureanda che mi aveva chiesto il libro… non so se è lei, se così fosse mi sarebbe piaciuto che avesse accennato anche alla MIA tesi, visto che è stato usato lo stesso identico titolo “MIO”… mah… pazienza, spero che almeno nel cartaceo abbia inserito la “fonte”)

Qui c’ è l’ebook

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Ciccionazzi a Chichén Itzà


Danilo Masotti e Davide Pavlidis (in rigoroso ordine alfabetico)
Danilo Masotti e Davide Pavlidis (in rigoroso ordine alfabetico)

Già nel leggere il titolo di questo racconto andavo nel panico. Ma che lingua è? Come diavolo si pronuncia? Ma è bolognese (visto che gli autori hanno avuto i natali in quella splendida “Bologna la Dotta”) o una lingua importata da qualche pianeta simile a quello abitato da Eta Beta?
Giuro che mi si inceppava, e mi si inceppa  la lingua ogni volta che provo a leggerlo.

Ho comprato il romanzo, in vendita su Amazon sia in formato cartaceo che come ebook, e ho cercato di ritagliarmi un po’ di tempo per leggerlo (cosa non facile ho circa 10 volumi sul mio comodino che attendono da tempo immemore di essere almeno sfogliati… ma li leggerò, prima o poi).
Tornando a questo romanzo devo dire che la curiosità era tantissima. Sapevo, detto da Danilo, che trattava il problema dell’obesità. Problema di cui gli autori ne avevano fatto personale esperienza e che oggi è di grandissima attualità e coinvolge non solo gli adulti ma i bambini già ai primi anni del loro ingresso a scuola.
Credo che sia l’America il Paese che ha il “privilegio” della pole position. La popolazione americana non solo è ipernutrita ma si nutre male. Fenomeno che in Europa da un paio di anni si fa più pressante. Molti i fattori. Tra questi la cattiva alimentazione e una cattiva abitudine alimentare.
Ma torniamo a noi che lo scopo di questo post non è quello di dissertare sulle norme alimentari degli italiani, per quello ci sono i dietologi, i nutrizionisti etc… etc…, ma di “recensire” il libro in questione.
Lo apro e leggo “Todo podìa pasar”, spalanco gli occhi perplessa, giro le pagine e scopro che quel nome strano non è un vacobolo bolognese nè una sua espressione idiomatica e non viene nemmeno da un altro pianeta.
Gli autori ti catapultano subito dopo l’immagine della “Madunina” e la sagoma di un aereo, direttamente in centro America. In Messico per l’esattezza. Poi, in una sola pagina riescono a riportati in Italia e il racconto inizia a delinearsi.
All’inizio ho pensato: Cavolo! Ma siamo sicuri che l’abbiano scritto due adulti? Mi sembra uno di quei temi che alcuni anni fa ebbi modo di leggere in una classe 5a… Vuoi vedere che i nostri due autori sono degli inguaribili Peter Pan?
Di sicuro avevano catturato la mia attenzione e allertato la mia curiosità. Mi viene in mente “Il giovane Holden” e mi dico: Vuoi vedere che ne fanno un remake? Ma mi ricredo ben presto. I nostri “eroi”, dimenticavo di dire che sono due i protagonisti, hanno poco in comune col giovane Holden quanto invece non ricordano vagamente “Le avventure di Tom Sawyer” con la spregiudicata maleducazione di Burt Simpson.
Così tra colpi di scena, che spaziano dall’esilarante al grottesco, i nostri autori ti presentano la loro visione del nostro Paese e del mondo in generale. Con un linguaggio duro, da bettola o da scaricatore di porto, come si diceva ai miei tempi, trascinano il lettore in un mondo dove c’è poco spazio al sentimento. Dove anche l’amore viene vissuto solo come mera pulsione sessuale, sfogo animalesco, cosa che non può essere diversamente vista la “stazza” dei nostri eroi che oltrepassa i 150 kg.
La loro stazza, unita alla loro mancanza di cultura ed alla loro ottusa visione del mondo, li porta a cacciarsi in una situazione che definire rocambolesca è usare solo un eufemismo.
Aldilà di ciò, chiuso il libro ti rimane l’amaro in bocca. Un malessere indefinito che ti porta a riflettere.
Ma che vita è mai questa vissuta dai protagonisti? Le situazioni in cui si trovano, pur se non li vedono coinvolti in prima persona in avvenimenti tragici, non ti consentono, altresì, di formulare alcun giudizio sul loro comportamento. Non so come ma, Danilo Masotti e Davide Pavlidis, nella loro narrazione tra lo scanzonato e il serioso non pongono il lettore a sentire verso i due protagonisti alcun sentimento che non sia quello della “compassione”.
Leggi e a parte un certo “freddo interiore” che in alcuni momenti ti prende alla gola e ti fa “sentire” gli odori nauseabondi di una fetida pensione per il resto ti chiedi: Ma come cavolo fanno a vivere così? Perché non provano ad essere migliori? Per iniziare, perché non provano a fare una dieta dimagrante? E, come se gli autori ti avessero letto nel pensiero, ecco che si fa manifesta la ragione di trovarsi a “Chicén Itzà” e con un geniale contrecoup sottopongono allo smarrito lettore il problema degli “imbonitori”, dei venditori di “miracoli”.
Erano andati in cerca del “miracolo” per scoprire che… e no… Per conoscere la fine avete un unico modo di scoprirlo. Comprarvi il libro.
Da parte mia ringrazio gli autori per aver saputo regalarmi con mano così “leggera” un momento di grande riflessione.
Complimenti Danilo, complimenti Davide… continuate a farci riflettere, divertendovi e facendoci divertire (ho sempre pensato che la vera arte, sia letteraria che pittorica o qualsivoglia musa seguire, nasce da vera gioia, vero amore, per ciò che si fa) col vostro  “fanciullino”…

Pubblicato in: Libri, Società e Costume

Sull’amicizia


Il vostro amico è il vostro bisogno saziato.
E’ il campo che seminate con amore e mietete con riconoscenza.
E’ la vostra mensa e il vostro focolare.
Poiché, affamati, vi rifugiate in lui e lo ricercate per la vostra pace.
Quando l’amico vi confida il suo pensiero, non negategli la vostra approvazione, né abbiate paura di contraddirlo.
E quando tace, il vostro cuore non smetta di ascoltare il suo cuore:
Nell’amicizia ogni pensiero, ogni desiderio, ogni attesa nasce in silenzio e viene condiviso con inesprimibile gioia.
Quando vi separate dall’amico non rattristatevi:
La sua assenza può chiarirvi ciò che in lui più amate, come allo scalatore la montagna è più chiara della pianura.
E non vi sia nell’amicizia altro scopo che l’approfondimento dello spirito.
Poiché l’amore che non cerca in tutti i modi lo schiudersi del proprio mistero non è amore, ma una rete lanciata in avanti e che afferra solo ciò che è vano.
E il meglio di voi sia per l’amico vostro.
Se lui dovrà conoscere il riflusso della vostra marea, fate che ne conosca anche la piena.
Quale amico è il vostro, per cercarlo nelle ore di morte?
Cercatelo sempre nelle ore di vita.
Poiché lui può colmare ogni vostro bisogno, ma non il vostro vuoto.
E condividete i piaceri sorridendo nella dolcezza dell’amicizia.
Poiché nella rugiada delle piccole cose il cuore ritrova il suo mattino e si ristora. {K. Gibran – Il Profeta}

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ITC e Cultura


In questi giorni mi sono fatta prendere la “mano”  da un giochino, realizzato con Flash, su FB: Cityville e, come mi succede sempre, ho lasciato che mi coinvolgesse. Adoro “creare”, la qualunque cosa, e ringrazio chi ha così tanta fantasia e che la mette a disposizione degli altri fornendogli gli strumenti idonei per  “sviluppare” e potenziare la propria.

La grandezza di qualcosa non è data dalla grafica o dal contenuto (che ovviamente anche loro debbono essere accattivanti, della serie: Anche l’occhio vuole la sua parte) quanto dalla capacità, che hanno i mezzi che usiamo, di  istruire, di sviluppare la capacità creativa e  logica. Di stimolare l’intuito e con l’intuito arricchire non solo il pensiero ma anche la capacità critica di quanto si apprende.

Mio figlio con l’aria del “grande” mi fa: Ma che ti metti a fare questi giochini deficienti per bambini?

E io mi sono ricordata di come, anni fa, molti anni fa, comprai uno dei primi software che avrebbe dovuto avere una “valenza didattica” nello studio della tecnologia per il mio secondogenito, sordo…

Allora frequentava la 1 Media, (oggi secondaria di primo grado … fa più chic… bleah…), e appunto tra le materie di studio c’era l’ urbanistica (ovviamente in modo molto elementare). Allora il suo linguaggio era ancora molto scarno, possedeva si e no 1-2 mila parole nel SUO vocabolario e così il modo migliore era ancora una volta quello che avevo sempre usato da quando avevo appreso del suo deficit: l’immagine.

Ma l’immagine da sola non era sufficiente a far vedere come nel sottosuolo centinaia, migliaia di collettori, rifornissero di acqua, gas, luce, telefoni, scarichi le città e le case. Così, girovagando di qua e di là, mi imbattei in “The Sims” prima e in “Sim City” dopo.

Inutile dire che mi procurai il sw e non solo… mi aggiornai sempre sulle espansioni. Mio figlio non ha mai amato molto il genere ma, non di meno, riuscì a comprendere in maniera “diretta” il sistema che fa stare in vita una città.

Allora, se da un lato si inizia a “criticare” l’uso smodato che i giovani fanno delle nuove ITC, è pur sempre vero che non bisogna demonizzare questo mezzo che consente di ottenere un apprendimento più immediato dei saperi. L’unico rischio che si corre, a mio modesto parere, è quello di “bloccare” la memoria a lungo termine. Per questo dico  SW si, Internet si, ma non trascuriamo mai la carta stampata…

E poi, vuoi mettere il profumo che da questa emana?