Sui social interagiamo con persone che non conosciamo e, non conoscendoli, siamo portati a pensare che siano come noi. Li misuriamo col nostro metro personale e siccome noi non ci nascondiamo ci viene difficile pensare che il nostro interlocutore possa essere un troll o una persona reale. Un delinquente, magari in galera (mi è capitato qualche anno fa di interagire su twitter con uno dei ragazzi che aveva preso parte allo stupro di una ragazza, in Calabria. Era intervenuto in uno dei miei post in cui commentavo l’accaduto e lui prendeva le difese degli stupratori asserendo che la ragazza se l’era cercata con il suo atteggiamento e coi suoi modi di fare. Ricordo che gli chiesi come faceva ad affermare una cosa del genere, come faceva ad avere quelle assurde certezze, e le sue testuali parole furono: IO sono uno di quei ragazzi (erano stati tutti arrestati, allora) o una persona in odore di santità.
Anche nei dibattiti e nelle diatribe politiche come facciamo a sapere se chi difende un partito non lo faccia per interessi “personali” e magari ha le mani in pasta (pagato per diffondere notizie false, a libro paga di questo o quel politico)? Non gli chiediamo la carta di identità, né l’indirizzo di casa. Nulla sappiamo di lui/lei tranne ciò che ci racconta eppure, eppure gli diamo voce, affidabilità… condividiamo ciò che scrive. Ci facciamo trasportare dal tifo da stadio, non andiamo a cercare conferme di quanto andiamo leggendo. Ci facciamo ammaliare dal canto delle sirene senza accorgerci che ci stanno manovrando, che parlano alla nostra pancia e non al nostro cervello…
In una sfrenata frenesia, assorbiti dal piacere del clicca e condividi ci facciamo portavoce delle ipotesi più fantasiose e disparate.
Sguazziamo nel “complottismo”, ci facciamo il bagno nel pettegolezzo, ci docciamo e ci facciamo lo shampo con le congetture e le opinioni come se congetture ed opinioni fossero fatti davvero accaduti senza lontanamente pensare che possono essere stati generati da una mente malata, psicologicamente disturbata (basta vedere gli assassini e i loro post prima e dopo aver commesso un delitto… l’ultimo l’assassino di Senago).
Si, il web non solo ha dato parola a milioni di cretini, come diceva Umberto Eco, ma ha anche spalancato le porte delle carceri, dei manicomi, ha spianato la strada a tutta una serie di personaggi loschi, inaffidabili. Gente che se vivesse accanto a noi non saluteremmo neanche al mattino e qui, invece, li trattiamo come se fossero dei guru.
Siamo circondati da maschere, attori pietosi di questo grande palcoscenico che è il web 2.0 – 3.0 – 4.0
Che tristezza…

(cit) Sta vivendo di nuovo la paternità tosta, dei primi mesi. Diventare padre le ha cambiato lo sguardo artistico?
«I mesi tosti sono questi, perché devi correre. I bimbi a questa età non chiedono un impegno emotivo, devi solo stargli dietro. 𝗦𝗼𝗻𝗼 𝗶 𝗽𝗶𝘂̀ 𝗴𝗿𝗮𝗻𝗱𝗶 𝗰𝗵𝗲 𝗰𝗿𝗲𝗮𝗻𝗼 𝗽𝗿𝗲𝗼𝗰𝗰𝘂𝗽𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗶, 𝗶𝗹 𝗹𝗼𝗿𝗼 𝗿𝗮𝗽𝗽𝗼𝗿𝘁𝗼 𝗰𝗼𝗻 𝗶 𝘀𝗼𝗰𝗶𝗮𝗹, 𝗲 𝗹𝗮𝗻𝗰𝗶𝗼 𝘂𝗻 𝗮𝗽𝗽𝗲𝗹𝗹𝗼 𝗮𝗶 𝗴𝗲𝗻𝗶𝘁𝗼𝗿𝗶 𝗽𝗲𝗿 𝗶𝗹 𝗺𝗼𝗱𝗼 𝗶𝗻 𝗰𝘂𝗶 𝘃𝗼𝗹𝗴𝗮𝗿𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗶 𝗿𝗮𝗴𝗮𝘇𝘇𝗶 𝘀𝗶 𝗺𝗲𝘁𝘁𝗼𝗻𝗼 𝗶𝗻 𝗺𝗼𝘀𝘁𝗿𝗮, 𝗼𝗴𝗻𝗶 𝗯𝗮𝗿𝗿𝗶𝗲𝗿𝗮 𝘀𝗲𝘀𝘀𝘂𝗮𝗹𝗲 𝗶𝗻𝗳𝗿𝗮𝗻𝘁𝗮, 𝗻𝗲𝘀𝘀𝘂𝗻 𝘀𝗲𝗻𝘀𝗼 𝗱𝗲𝗹 𝗽𝘂𝗱𝗼𝗿𝗲… 𝗦𝘁𝗮𝗻𝗻𝗼 𝘀𝘂𝗯𝗲𝗻𝗱𝗼 𝘂𝗻 𝗹𝗮𝘃𝗮𝗴𝗴𝗶𝗼 𝗱𝗲𝗹 𝗰𝗲𝗿𝘃𝗲𝗹𝗹𝗼 𝗰𝗼𝗻 𝗹𝗮 𝗺𝗼𝗱𝗶𝗳𝗶𝗰𝗮 𝗰𝗼𝘀𝘁𝗮𝗻𝘁𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗹𝗼𝗿𝗼 𝗶𝗺𝗺𝗮𝗴𝗶𝗻𝗲, 𝗶𝗹 𝗰𝗼𝗿𝗽𝗼 𝗶𝗻 𝗺𝗼𝘀𝘁𝗿𝗮 𝗶𝗻 𝗺𝗼𝗱𝗼 𝘀𝗽𝘂𝗱𝗼𝗿𝗮𝘁𝗼. 𝗘̀ 𝗶𝗹 𝗺𝗮𝗹𝗲 𝗱𝗲𝗹 𝗺𝗶𝗹𝗹𝗲𝗻𝗻𝗶𝗼, 𝗺𝗶 𝘀𝘁𝘂𝗽𝗶𝘀𝗰𝗼 𝗱𝗲𝗶 𝗴𝗲𝗻𝗶𝘁𝗼𝗿𝗶 𝗰𝗵𝗲 𝗳𝗮𝗻𝗻𝗼 𝗶 𝗽𝘂𝗱𝗶𝗰𝗵𝗶 𝗲 𝗽𝗼𝗶 𝘀𝗲 𝗻𝗲 𝗳𝗿𝗲𝗴𝗮𝗻𝗼 𝗱𝗲𝗴𝗹𝗶 𝗮𝘁𝘁𝗲𝗴𝗴𝗶𝗮𝗺𝗲𝗻𝘁𝗶 𝗱𝗲𝗴𝗿𝗮𝗱𝗮𝗻𝘁𝗶 𝗱𝗲𝗶 𝗳𝗶𝗴𝗹𝗶».
(Siamo afflitti dal più degradante voyeurismo e non ce ne rendiamo conto n. a m.)
Lei sui social ha un grande seguito e ha sperimentato le montagne russe.
«Abbiamo denunciato chi ha diffamato pubblicamente e abbiamo cause in tribunale che in prima istanza abbiamo vinto. 𝗟𝗲 𝗽𝗲𝗿𝘀𝗼𝗻𝗲 𝗻𝗼𝗻 𝘀𝗶 𝗿𝗲𝗻𝗱𝗼𝗻𝗼 𝗰𝗼𝗻𝘁𝗼 𝗰𝗵𝗲 𝘀𝗼𝗰𝗶𝗮𝗹 𝗻𝗼𝗻 𝗲̀ 𝘃𝗶𝗿𝘁𝘂𝗮𝗹𝗲 𝗲 𝗻𝗼𝗻 𝗲̀ 𝗶𝗻𝗰𝗼𝗻𝘀𝗶𝘀𝘁𝗲𝗻𝘁𝗲. 𝗘 𝗾𝘂𝗮𝗻𝘁𝗼 𝗼𝗱𝗶𝗼 𝗲 𝗿𝗮𝗯𝗯𝗶𝗮 𝗰𝗶𝗿𝗰𝗼𝗹𝗶𝗻𝗼 𝗰𝗼𝗻 𝗶𝗹 𝗽𝗿𝗲𝘁𝗲𝘀𝘁𝗼 𝗱𝗶 𝗲𝘀𝗽𝗿𝗶𝗺𝗲𝗿𝗲 𝗹𝗲 𝗽𝗿𝗼𝗽𝗿𝗶𝗲 𝗼𝗽𝗶𝗻𝗶𝗼𝗻𝗶. 𝗟’𝗲𝗿𝗿𝗼𝗿𝗲 𝗲̀ 𝗽𝗲𝗻𝘀𝗮𝗿𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝘂𝗻 𝗰𝗼𝗺𝗺𝗲𝗻𝘁𝗼 𝗰𝗮𝘁𝘁𝗶𝘃𝗼 𝗽𝗼𝘀𝘀𝗮 𝗲𝘀𝘀𝗲𝗿𝗲 𝗮𝘀𝘀𝗼𝗰𝗶𝗮𝘁𝗼 𝗮𝗹𝗹’𝗶𝗻𝘁𝗲𝗹𝗹𝗶𝗴𝗲𝗻𝘇𝗮».
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